BIOGRAFIA DI DAVID LAZZARETTI

 

(Testo tratto dalla Enciclopedia Italiana Treccani vocabolo Lazzaretti)

 

LAZZARETTI, Davide – Nato ad Arcidosso (Grosseto) il 1 nov. 1834, barrocciaio, sposo e padre di tre figli, il 9 ottobre 1868 in seguito a visioni che diceva di avere avute fin da giovanetto, si ritirò a vita eremitica in una grotta presso Montorio Romano. Dopo tre mesi, preceduto dalla fama di prodigi e nuove apparizioni, fece ritorno al luogo natio e là iniziò, con larghissimo successo la sua propaganda. Fondò una congregazione degli eremiti, penitenzieri e penitenti e una Società delle famiglie cristiane che raccolte 80 famiglie del paese le quali misero per più anni in comune lavoro e beni.

Per questo fu due volte processato (nel 1871 e 1873) sotto l’imputazione di truffa, ma sempre liberato per la difesa che di lui fecero Giovanni Salvi e Pasquale Stanislao Mancini. Gli iscritti alle società fondate dal L. – che avevano sedi a Montorio, Scandriglia (Rieti) e sulla vetta di Monte Labro (Amiata) – dovevano far professione di fede cattolica e preparare in preghiera e penitenza l’avvento dell’Età dello Spirito Santo, che avrebbe concluso il ciclo delle tre economie religiose dell’umanità, ciascuna contraddistinta dalla rivelazione di una delle tre persone della Trinità.

Il movimento fu in un primo tempo tollerato dall’autorità ecclesiastica che accordò anche a due sacerdoti il permesso di officiare in una piccola chiesa costruita dal lazzarettisti sul Monte Labro. Ma i due sacerdoti furono presto (luglio 1878 sospesi a divinis e tutti gli scritti di propaganda che il L. avevano pubblicato furono posti all’Indice. Dopo un momento di incertezza, il L. che aveva ammiratori e seguaci anche in Francia dove egli si recò due volte (1873 – 1877 ) riprese sul Monte Labro la sua propaganda sempre più accesa scagliandosi ora contro la Santa Sede, proclamandosi e facendosi riconoscere dai suoi fedeli come seconda

incarnazione del Cristo.

Il 18 agosto 1878, avendo predetto ai suoi che in quel giorno si sarebbe manifestato al Mondo come Cristo e avrebbe sazionato con l’offerta della sua vita la soprannaturalità della sua missione, scese dal Monte Labro alla testa di una folta processione. Alle porte di Arcidosso un drappello di Carabinieri forse atteriti dal gran numero di lazzarettisti sordi ad ogni richiamo, fecero fuoco lasciando morto sul terreno, fra gli altri, il L.

Fra i seguaci del L. è da segnalare Filippo Imperiuzzi.

 

Bibb. – F. Imperiuzzi, Storia di D.L. profeta di Arcidosso, Siena 1905

G. Barzellotti, Monte Amiata e il suo Profeta (D.L.), Milano 1910

F. Sapori, D.L. Visione e profezie (Antologia degli scritti del L. con introduzione e

Bibl.) Lanciano 1919

Senza Firma

 

 

 

AVVERTENZA

 

Ai Militi Crociferi dello Spirito Santo sulle RIVELAZIONI comunicate da

DAVID LAZZARETTI.

- Pubblicazioni in Supplemento al Notiziario Mensile della Chiesa Universale Giurisdavidica fondata nel 1872 sul Monte Labro (AMIATA) da David Lazzaretti, CRISTO, DUCE, GIUDICE:

<< LA TORRE DAVIDICA >>

- Sede in Roma – Via Tevere 21 interno 5 tel. 8453840

- Pubblicazione Autorizzata dal Tribunale di Roma numero 5841 del 14-6-1957

- Direttore Responsabile Elvira Giro

- Pubblicazione GRATUITA

- Spedizione in abbonamento postale gruppo 4

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Queste scritture appartengono alla raccolta dell’OPERA GIURISDAVIDICA formata dal Sacerdote Filippo Imperiuzzi, nato a Gradoli (VITERBO) nel 1845, morto a Roma nel 1921, divenuto Capo Giurisdavidico il 14 marzo 1878 per Volontà di DAVID.

Filippo Imperiuzzi nel 1869 era già stato consacrato sacerdote dal Vescovo Cattolico Diocesano della Congregazione di San Filippo Neri.

LA REDAZIONE

 

D E D I C A

 

La mano fratricida, che colpì a morte David Lazzaretti, non potè spegnere lo spirito, soffocare la dottrina.

Essa vive pur sempre nel cuore di molti, ed ora venne manifestata nella sua interezza, in una serie di comunicazioni spiriticamente svelate ad un capo della religione dei perfezionisti in Charleston negli Stati Uniti di America.

Da questi ne abbiamo ricevuto il manoscritto e per suo volere, deve essere, prima che in altre contrade, pubblicato e diffuso in

- I T A L I A. –

E a te, come segno di speranza e di salute, come vincolo di concordia tra le varie classi sociali, a te vuol essere affidato e dedicato.-

 

OH POPOLO ITALIANO !

 

 

PARTE PRIMA

 

IL PASSATO.

IL FALSO E IL VERO CRISTIANESIMO

CAP. 1 – LA MORTE FU LA VITA.

 

1. La mia morte fu il principio della nuova vita.

2. Tre colpi avevano sparati contro di me inerme; e lo Spirito li aveva sviati.

3. Alfine, non consentendo io mai che sangue innocente fosse sparso per causa mia, mi avanzai contro i gendarmi e le milizie schierate e, scoperta la mia fronte, dissi: “Eccomi”.

4. Un colpo allora partì dal fucile di un povero soldato ignaro di quanto faceva , trapassò la stigma impresso nel mezzo della fronte, onde fosse adempiuto il testo che dice: “E in quel segno voi lo riconoscerete.”

5. La palla penetrò nel profondo del capo; io caddi ginocchioni dicendo ad alta voce: “I destini si compiano, la tua volontà sia fatta.”

6. Voi accorreste solleciti intorno a me, e, al mirare il mio occhio sempre vivo e scintillante ed una aureola di luce irraggiarmi la fronte, credeste che io vivessi ancora della vita terrena;

7. Era la luce, che lo spirito vi aveva diffusa nel suo passaggio, sprigionandosi dall’involucro terreno ed esultando nella vita terrena.

8. E voi, pietosi, sollevandomi dal suolo, deponeste la mia salma sulla scala di legno, la portaste al paese di Bagnoré, tergeste la ferita aperta e dicevate l’un l’altro: “egli vive ancora.”

9. Ed io rivivo infatti, qui, in queste sfere superiori, ove il pensiero non incontra più limiti, né ostacoli alla libera espansione; qui, ove il passato si manifesta ancora come il presente, e il presente domina il tempo e abbraccia l’avvenire.

10. Qui, dove le armi della violenza, il pugnale dell’insidia non possono più colpirmi, né la menzogna, né la calunnia arrivano a ferirmi: qui, onde la verità può diffondersi libera e consolatrice sopra il genere umano.

11. Qui, dove tutto è luce, sincerità e giustizia.

12. E a lungo, dopo la morte, io vagai, spirito libero, nel vostro pianeta, di zona in zona, di clima in clima, a cercar modo di manifestare il mio pensiero e continuare il mio lavoro secolare, iva intorno tentando di incontrare lo Spirito, che parlasse al mio Spirito, l’anima che si elevasse a me, per potermi svelare in essa e per essa.

13. Ora tu che vivi isolato in questa remota parte del nuovo mondo fra coloro che si perfezionano aspirando alla nuova fede, tu ti levasti collo spirito a me ed io, da provvida forza, fui tratto a te e con te.

14. Le nostre anime si sono confuse; si accomunarono in un pensiero, come già si erano incontrate in secoli lontani.

15. Tu sia la mano, io il pensiero che la dirige; tu la voce che suona, io il Verbo interno che lo spira e muove; tu il labro, io l’afflato; tu la lama fotografica, io il raggio che l’illumina e vi disegna e stampa la parola dell’Evangelo futuro.

16. Levati a me ed io discendo a te.

17. Scrivi, - e siano queste parole l’insegnamento e la fede che l’America manda all’Europa, che il nuovo mondo diffonde sull’antico, e che la vetusta Italia, primogenita della civiltà europea, ora risorta a novella vita, manda al secolo che si rinnova.

 

CAP. 2 – LO SPIRITO DELL’UOMO.

 

1. Nulla si perde nell’universo, nulla muore.

2. Tutto si trasforma, si svolge, sinchè per virtù propria, ogni creatura, o cosa, raggiunga la meta a lei segnata, attinga l’ultima potenza di cui è capace. Ciò pel mondo fisico, come pel morale, per l’individuo come per la specie.

3. Lo spirito dell’individuo sulla terra è simile al raggio che dai remoti pianeti scende a penetrare il vostro globo.

4. Quel raggio talora non arriva a voi che dopo milioni d’anni dacchè si spiccò dal suo centro luminoso, e quando l’ambiente terreno fatto è capace di contenerlo. Talora il pianeta si è già eclissato e dileguato negli spazii supremi, quando il raggio attinge la bassa terra,

5. Ma non può risalirne sin che il suo destino sia pieno e non abbia consolata e fecondata con la sua luce ingenita e speciale la terra:

6. Così accadde dello spirito dell’individuo. Il raggio solare procede da un centro di luce, lo spirito umano procede da zona più luminosa, oceano di pensiero, centro di vite individuabili.

7. Da questo Oceano attinge potenza di idee imperiture, che poscia formano i destini, da cui è dominata e condotta la sua esistenza attraverso lo spazio e i tempi.

8. Né gli è dato risalire alla prima sorgente, che quando abbia esplicati tra gli uomini i Veri che porta nel seno, e che l’ambiente umano sia fatto capace di comprenderli e fecondarsi in essi.

9. Però da secoli io erro, mi agito sulla terra per imprimere nei popoli il pensiero che mi consuma; da secoli mi affliggo, lavoro, lotto e soffro per far penetrare fra le passioni violente e abbiette del volgo dei mortali la parola eterna, veridica, consolatrice.

10. E da secoli ne sono rimeritato con persecuzioni, umiliazioni e scherni.

11. Il giorno anelato parevami sorto. All’ombra della unità e della libertà italica sperava potesse gettare i primi semi e germogliare la verità e la giustizia;

12. Avevo iniziata la mia opera, non tra gli uomini saggi, ricchi e scettici, ma tra uomini semplici, umili, ricchi di speranze, vigorosi di fede e d’entusiasmo.

13. Già cominciava a trapelare la nuova credenza, taluno già si levava alla dottrina dell’Evangelo Vero, un nuovo spirito compenetrava i cuori. Ma i nemici eterni dell’Evangelo Vero si sono congiurati collo scetticismo, colla miscredenza, colla indifferenza per insidiarmi; la frode intrecciò le armi con la superbia e la violenza per opprimermi.

14. Io non avrei mai sofferto che la dottrina mia tornasse a danno d’alcuno, divenisse seme di guerra e discordie cittadine. – La dottrina della vita non deve costare la morte ad alcuno. – La vita deve fecondare la vita, rivelare la vita.

15. Non sofrii che veruno de’ miei compagni di fede affratellati nella dottrina, avesse a patire danni e persecuzioni per cagione mia, affrontai spontaneo, deliberato, la morte, sicuro e fidente che dalla mia morte germoglierebbe la vita.

16. La morte d’uno diventerà vita a milioni.

17. La violenza, la forza materiale non può tarpare le ali allo spirito; se una via gli è preclusa altra saprà aprirsene. Dio e lo Spirito sanno rinvenire la loro via per procedere inflessibili alla meta.

18. Ora a te il raccogliere la dottrina e te il comprenderla; a te il diffonderla ai vivi.

19. Essa si riassume in tre parole, ma ogni parola compendia in se interi periodi di civiltà, riassume la vita la felicità di milioni d’individui.

20. Ogni parola è il Verbo, l’Evangelo Vero, non il falsato dei secoli passati; è il Cristianesimo messiaco, il vero Vangelo dell’avvenire.

21. Perrocchè esse proclamarono e proclameranno ora e sempre: - Liberazione degli oppressi, elevazione degl’umili, ordine e fratellanza fra tutti i popoli della Terra. Questo il pensiero, questa la meta. Ora alla applicazione, all’opera.

 

CAP. 3 – L’ESISTENZA TERRENA.

 

1. La mia esistenza attraverso i secoli e i popoli si riassume in una vicenda non mai scontinuata di sofferenze, di conflitti, di cadute e di riscosse per esplicare ed applicare questi principi fra le genti per imprimere nella realtà sociale il pensiero divino impresso in me dalle origini dei tempi e del tempo.

2. Questa la chiave della mia vita, la causa della mia morte che per divino consiglio dovrà pure riuscire a vita rinnovellata.

3. Il vero mio nome, che portai durante tutte le età, fu Lazzaro; e nel nome si compenetra spesso il mistero, il pensiero di una esistenza.

4. E in verità lo dico, nella mia vita si compendiano i dolori, le passioni, le oppressure durate dall’uomo semplice ma povero, elevato ma umile, dall’operaio, dal contadino, dai miseri Lazzari, dai diseredati di tutti i tempi, di tutti i popoli dell’universo.

5. Solo dopo la mia morte mi venne dato comprendere la mia vita; solo da questi spazi superiori potei misurare il tramite lungo e faticoso attraverso i secoli e tutti abbracciare tutti gli stadj della mia esistenza di oltre quattromila anni attraverso tutti i popoli.

6. Ed ora soltanto che il viaggio faticoso volge finalmente, colla redenta Italia, al suo termine, mi è concesso di narrarlo ai vivi.

7. Ed io farò ora a lampi che schiarano d’un tratto spazii vastissimi di cielo e di terra. Lo farò ora con tocchi risentiti e brevi che valgano a fissare i fatti della storia dei secoli a dissipare gli errori e le frodi ad arte accumulate dai preti, da despota e re, tal che esperti del vero, voi possiate sulle reali tradizioni del passato, innalzare l’edifizio della verità e della giustizia, non per un popolo, per una setta, ma pel genere umano.

 

CAP. 4 – LE ORIGINI STORICHE

 

1. Nacqui coll’umanità e andai confuso tra il gregge umano che nell’alba dei secoli popolava la terra. La contrada ove prima vidi la luce non fu paradiso di delizia e di pace, e la prima voce che ruppe dal mio petto non fu inno di lode né cantico di letizia e amore.

2. Tutti gli elementi del cielo e della terra erano scatenati e in lotta fra di loro e quasi cospiranti ai miei danni ed io in lotta contro tutti. Fuoco, venti, mari, terremoti, turbini, imperversavano furibondi, gettando la confusione ed il terrore nella terra e nel cielo; ed io nudo, errante, pauroso di tutto, cercavo invano un ricovero contro le intemperie nei giorni tempestosi, un asilo nelle notti orride di paura.

3. Quando l’infuriare degli uragani cominciò ad avere qualche tregua, io vagando tra foreste e burroni potei scoprire su pei fori dei monti, nelle caverne delle belve o sotto qualche pianta amica, un riparo contro la inclemenza del cielo, contro i geli e le tempeste imperversanti.

4. Allora mi convenne impegnare una guerra anche più tremenda e perigliosa contro le fiere e le belve, combattere corpo a corpo contro serpenti, draghi, respingere gli animali selvaggi che vagavano urlando intorno agli antri, alle palafitte ove mi riparavo colle mie donne ed i miei bambini.

5. Le belve, come padroni della terra, si aggiravano truci ai miei ripari mal difesi ed il mio urlo. Il mio grido di terrore e di guerra si confondeva col ruggito del leone che mi assaliva – col bramire del leopardo e della jena che io schiacciavo colla mia mazza o sbranavo colle mie unghie di ferro.

6. Quando dopo lungo volgere di secoli ci venne fatto di poter accendere e conservare il fuoco, difendersi coi tronchi d’alberi arsi, circondare di fiamme le nostre caverne, gettare il terrore fra le bestie abbacinate e sbalorditive e poter costruire con pietre ammucchiate ripari più sicuri contro gli assalti delle fiere e l’infuriare dei turbini.

7. Io sperai che gli uomini i quali nudi e deboli erano combattuti da tutti si accomunassero alleati tra di loro per resistere ai nemici comuni e cercare sollievo e riparo contro i malori che li opprimevano contro gli elementi e le fiere congiurati ai danni loro.

8. Ma allora cominciò ad accendersi più forsennata la lotta dello uomo contro l’uomo, individuo contro individuo, razza contro razza, il violento, il forte contro il pacifico, il debole, il cacciatore contro l’agricoltore, l’ozioso contro il lavoratore. Caino contro Abele. Le belve spesso ci assalivano, ci divoravano, ma l’uomo si sfamava colle carni fumanti del suo simile.

9. Allora gli uomini si divisero in due schiere. Da un lato stavano i Caini che vivevano di caccia, di rapina, di assassini, di libidine e di violenze; dall’altra i figli di Abele che lavoravano il suolo, pascevano il gregge, innalzavano ripari contro il furiare delle acque, fabbricavano asili a sé, alle donne, ai bambini e col lavoro cercavano di giovare ai suoi simili.

10. I Caini avevano adottato Numi, al pari di loro, efferati. Essi adoravano i mostri selvaggi, il serpente, la tigre, il leone, il coccodrillo; esultavano fra gli uragani e le tempeste; e le loro preghiere erano urli di bestemmia e di rabbia. Il culto: orge di libidine e di sangue; il sacrificio: vittime umane; sacro patto: il sangue e la carne.

11. I figli di Abele avevano elevato la loro mente al Dio, Creatore del Cielo e della Terra; del grande Essere, Dio benevolo e di pace, e solevano adorarlo sia con semplici preghiere, sia con sacrifici di fiori e di frutta, o col lavoro e con le opere pietose ed utili ai loro simili.

12. Io, nato dai figli di Abele, ne seguitai la sorte, combattuto trucidato, mentre mi levavo a difendere i miei fratelli o mi sollevavo contro il male, rinascevo pur sempre in mezzo a loro portando con miei semi delle prime esistenze e sempre dominato dal pensiero che accompagna nei secoli la mia vita, di compiere i destini.

13. Agitato dal presentimento di essere chiamato a migliorare le sorti del genere umano, fui a volta a volta agricoltore, pastore, sacerdote, operaio e percorrevo l’oriente per cercare altre terre, per giovare a popoli diversi. Dopo lungo volgere d’anni, di emigrazione, fui spinto nella terra di Egitto.

 

CAP. 5 – L’EGITTO E LA PALESTINA

 

1. Quivi al mio apparire, nel mirare in mezzo a città pompose, a templi e monumenti un popolo laborioso e docile, io sperai che fosse sospesa la guerra antica tra i figli di Abele e Caino; e cessati i contrasti, le invidie e prepotenze tra i figli degli uomini.

2. Ma non tardai di avvedermi che ero tratto in inganno; la lotta aveva assunto forma diversa ma perdurava vieppiù cupa e truce.

3. I forti s’erano indettati coi prudenti e con gli astuti; i violenti s’erano accordati per far causa comune coi furbi e con gli ipocriti.

4. I re, i principii guerrieri accordavansi coi preti, cogli astrologi, coi negromanti, avevano statuiti di dominare sugli agricoltori, sugli operai, i sapienti, perché servissero nei loro voleri. Questi dalle fascie sarebbero destinati a lavorare la terra a edificare case, templi, sepolcri fastosi ai re, a elevare piramidi al loro orgoglio, a servire nelle officine nelle case, secondo i capricci dei grandi; e i preti e i grandi dovevano godere oziando del lavoro di tutti.

5. A meglio assodare il loro dominio la plebe che lavorava era divisa in caste, in classi e secondo la casta gli uomini incatenati e condotti al lavoro; molti venivano oppressi, schiacciati dai lavori e dalle fatiche manuali, perché mancasse pur loro il tempo e la cura di pensare.

6. Per meglio assoggettarli cancellarono dalla loro mente ogni immagine della divinità. Il bue, il gallo, il cane, l’ibis. “Ecco dissero i preti – i numi dell’uomo. Questi sono numi, obbediscono e servono, e voi pure, operai e agricoltori, da meno di loro, servite e ubbiditeci!”

7. Innalzando la bestia al di sopra dell’uomo, traevano argomento per meglio calpestare l’operaio, manomettere l’uomo a loro agio.

8. Ed io povero LAZZARO, per lungo volgere d’anni oppresso, schernito ero condotto a fecondare col sudore della fronte i campi dei re, dei sacerdoti, che mi calpestavano e vedevo a mille i miei fratelli incatenati, condotti a sollevare piramidi immani e monumenti splendidi ai cadaveri dei principi esistenti.

9. Allora si levò tra i miei fratelli oppressi, un uomo di cui mai non apparve l’uguale in mezzo ai secoli:

10. Uomo che portava l’aureola divina sulla fronte, di mente più che umano, di cuore vasto e nobilissimo, di volontà ferrea, d’aspetto maestoso, benevolo e sublime; dallo sguardo appassionato, imperioso profondo, sguardo che non solo dominava i grandi, affascinava i popoli, incatenava le turbe e le scatenava, ma come meteora di luce, pareva abbracciare tutti i secoli futuri ed imporsi agli eventi.

11. Egli s’impose agli oppressori e furono debellati: levò agli operai, agli oppressi il grido di libertà e le catene caddero spezzate.

12. Li svelse dal suolo della schiavitù, li trasse dietro di sé, liberi, nei piani sconfinati del deserto. Colà li ritemprò di nuova vigoria, li rinfrancò, li invasò del suo spirito, spirito di giustizia e di forza, di libertà; stampò nel cuore di ciascuno, come sopra tavole di bronzo, la coscienza dei doveri, come dei diritti di ogni cittadino; li armò poscia. ”Andate, - disse loro – conquistate voi una patria, fatela grande come la fede, prospera col lavoro e sorga essa faro di giustizia e tempio di sapienza asilo di libertà ai popoli della terra.

13. E quel popolo invasato del suo spirito, anche quando il sommo conduttore e legislatore era spento, si ordinò, conquistò a sé palmo a palmo la patria designata, già terra degli avi e quella terra doveva un giorno divenire faro di giustizia, di speranza di redenzione a tutti i popoli.

14. Ed io, dopo aver combattuto per conquistare una patria, raffermare e costituire in mezzo ai monti e ai mari una forte nazionalità, ebbi pure il mio campo di retaggio ed ora agricoltore, ora operaio, vissi libero all’ombra delle leggi uguali per tutti, col lavoro della mia mano, in mezzo al mio popolo a cui era unico vincolo: la legge, unico re: il Dio dell’Universo.

 

CAP. 6 – DAVIDE.

 

1. Io avevo fermata la mia dimora in Betlemme; coltivavo il mio campo, che confinava con quello di Isai ed avevo condotto in sposa una delle sue figliole.

2. In quel tempo ardeva feroce la guerra fra i Ebrei ed i Filistei, popolo ferocissimo che contrastava agli Ebrei il possesso della Terra dei loro padri.

3. Uscì contro di loro il mio cognato DAVIDE. Combatté corpo a corpo con un gigante che guidava le loro schiere e lo vinse; continuò poscia a combattere in campo aperto i nemici, finché fu proclamato capo dell’esercito ed in breve il suo nome divenne così popolare che, dopo molte vicende, fu dal popolo eletto capo delle milizie e re della nazione.

4. Da quel giorno al mio nome di Lazzaro aggiunsi quello di Davide, seguitai la sua sorte, e la mia vita, le mie vicende si confusero con quelle della stirpe davidica, s’identificarono coi fatti del popolo ebreo.

 

CAP. 7 - L’ORIENTE

 

1. Questo popolo era il solo veramente libero in tutto l’Oriente, la sola democrazia che sia sorta e fiorita nel mondo antico.

2. Appo tutti i popoli d’Oriente un solo uomo, autocrate disponeva delle persone e delle sostanze di tutti; dopo i re venivano i satrapi, i guerrieri, le caste, i sacerdoti, privilegiate, questi erano tutto; imperavano su tutti, essi soli possedevano la terra; non leggi ma l’arbitrio, il capriccio i favori dei despota, i privilegi dei satrapi; non volontà, se non quella del sovrano, che era Re e Nume. Non proprietà privata, tutte le terre spettavano al Re. Il popolo era considerato quale bestia, che serve per lavorare, e deve soffrire e servire sempre.

3. Invece presso gli Ebrei solo il re era il Dio-Uno, a fronte a cui stava e si levava, come personalità inviolabile, il popolo uno, senza distinzione di classi e di casta, solo una legge imperava sovrana su tutti, a lei doveva sottoporsi l’ultimo cittadino, come il re i sacerdoti, il Pontefice: legge comune era il lavoro e la coscienza de’ suoi doveri. Il popolo era sovrano; a lui spettava nominare i re, e se questi si dilungavano dai dettati della giustizia, dalle prescrizioni della legge, potevano essere cacciati dal trono, ed il popolo eleggeva a sé un altro capo.

4. Questo popolo e le sue leggi erano una condanna di tutti i governi, la protesta vivente contro le leggi, costumi, e culti dell’Asia. L’esempio di libertà e d’uguaglianza, che offriva la Giudea poteva divenire pericolosa e propagarsi ai vicini popoli; la prosperità ed il benessere dei nostri operai, dei lavoratori, delle plebi, destava l’invidia agli schiavi oppressi delle altre genti, il terrore ai loro satrapi.

5. Però tutti i despoti d’Oriente, i loro sacerdoti, i guerrieri, le caste cospiravano di continuo ai danni di questo popolo libero e pacifico, tentavano assoggettarlo, schiacciarne la libertà, mutarne le leggi e i costumi.

6. E l’Ebreo, popolo piccolo di numero ma potente per forza morale, dovette lottare, ora contro l’Egitto, ora contro i vasti imperi dell’Asia centrale, affrontare gli eserciti di Ninive, di Babilonia, del Idumea, e della Fenicea.

7. Questa lotta contro tutti i despoti durò oltre i trecento anni; infine, Israel indebolito, stremato di forze, oppresso da quegli eserciti sterminati, dopo lunghe guerre, dovette soccombere.

8. Le sue città forti vennero espugnate; Il tempio del Dio-Uno arso, e il popolo condotto in cattività a Babilonia.

9. Ma un secolo non era trascorso, che Sionne si rialzò dalle sue ruine; gli esuli ritornarono da ogni parte del mondo nella terra della libertà e della legge, nella patria dei padri loro. Il tempio fu riedificato più maestoso e più sublime.

10. E poté levarsi di nuovo co’ suoi riti semplici e severi, quale condanna contro la idolatria, e i suoi costumi fu bandiera di libertà e di speranza agli operai, ai lavoratori, agli oppressi di tutte le nazioni.

 

CAP. 8 - L’OCCIDENTE

 

1. La Siria, o la terra promessa, come è a te noto, è seduta sui confini dei tre mondi: L’Egitto, l’Asia e l’Europa. – Essa è come la porta dei tre mondi, e doveva essere la Porta di tutti i popoli civili della terra: Porta per cui tutti dovevano passare, educarsi e trasformarsi.

2. Israele, posto a custodia di questa porta, e come faro agli oppressi di tutti i popoli, nel primo periodo della sua storia, dovette combattere contro l’Egitto e i despoti dell’Oriente; nel secondo periodo si trovò di fronte al mondo greco-romano; all’Occidente.

3. L’ultima guerra in cui soggiacque nell’Oriente, fu combattuta contro le armate sterminate di Nabucco-Czar; ma una guerra più lunga e più tremenda doveva sostenere contro l’Occidente, condotta da altro Czar, detto Caesar o Cesare.

4. Roma, Sionne, due città sovrane, città principii, - che costituivano il loro spirito, il loro genio- dovevano rappresentare nell’umanità due principii affatto opposti.

5. Roma rappresentava la guerra, la conquista, il selvaggio e spesso lo sterminio dei popoli vinti e abbattuti: Sionne o Solima, come significa il suo nome, era la città della pace, del lavoro, della comunione del popolo e dei popoli. Roma adorava più Numi; Sionne affermava un solo Iddio, creatore e padre di tutti i popoli: Quindi Roma si sentiva chiamata a dominare tutti i popoli colla spada, e Sionne a divenire la città della pace universale, vincolo di unione e di fratellanza a tutti i popoli del mondo.

6. Due città, due principii, che in sé, sotto forme diverse, rappresentavano l’antica rivalità di Caino e di Abele, la violenza e la benevolenza, la spada sterminatrice del conquistatore, del guerriero, e la squadra edificatrice del lavoratore, dell’operaio.

7. A chi dovrà appartenere il dominio, a chi il trionfo, a chi l’avvenire?

8. E i Cesari di Roma, come gli Czar di Babele, temendo l’influsso e la prevalenza di Sionne, che co’ suoi figli operai, trafficanti e maestri già si diffondeva il suo spirito in ogni parte del mondo, deliberarono di opprimere la temuta rivale, e con Sionne, schiacciarne il popolo onesto, annientare la nazionalità e di libertà sulla terra.

9. E i Romani invasero la Giudea, occuparono con le loro milizie i campi, le città, penetrarono in Sionne; non osando ancora distruggere il tempio, vollero profanarlo, mutarne le leggi, corromperne i costumi, e così cancellare ogni traccia della nazionalità ebrea, spegnere quei principii, che portava nel seno.

10. Come avevano trionfato di tutti i popoli, la nazionalità dei Galli, dei Germani, dei Greci, dei Parti, così volevano estinguere la nazionalità ebrea.

11. Ma questa ai terribili invasori opponevano una resistenza indomita.

12. Roma occupava le loro terre, spadroneggiava nelle città, svergognava, taglieggiava, uccideva; e il popolo resisteva.

13. Un fermento profondo agitava le masse; tutti cospiravano contro Roma, nelle case, nelle piazze, nelle scuole; tutti, uomini e donne, ardevano di scuotere il giogo dell’invasore straniero.

14. E Roma arrestava a centinaia i sospetti, e li mandava incatenati, dispersi e schiavi in terre lontane, e i più fieri e liberi crocifiggeva in cima delle strade, ad esempio dei passeggieri, a errore dei rivoltuosi.

15. Tal che un giorno, come ricordano le storie, dei mila patrioti ebrei, che erano in sospetto di voler rivendicare la libertà della nazione, furono sostenuti in croce e trucidati a fil di spada.

16. Fu questa la vera strage degli Innocenti perpetrata dai Romani, non da Erode, di cui parlano gli Evangelisti; essa preludeva la crocifissione di un popolo.

17. A migliaia si levavano dal seno del popolo i liberatori, detti Gesù, per predicare alle masse, sollevarle contro Cesare, e a migliaia morivano crocifissi. Ora in quei giorni appunto, inviato dal Signore, nacque dal ceppo della mia famiglia, rifugiata in Nazaret, Gesù detto il Cristo, figlio di Maria.

 

CAP. 9 - GESU’ E LAZZARO.

 

1. Gesù, sino dalla sua prima infanzia, appare agli occhi di tutti un essere prodigioso.

2. Miracolo d’intelligenza, che tutto sapeva comprendere e devinare; miracolo di bellezza, di bontà egli affascinava coll’amore che raggiava dai guardi luminosi, soggiogava gli animi colla forza e coll’incanto della parola, col calore dell’affetto profondo e soave, che spirava da ogni atto, da ogni parte dell’essere suo.

3. Appena adulto cominciò a rivelare la sua dottrina a pochi amici, poscia prese a predicare alle turbe.

4. E facendosi interprete e apostolo del pensiero, che da secoli ferveva nel seno del popolo di Giudea, egli predicava, che il regno della violenza e della forza brutale doveva finire, che nuovi tempi stavano per sorgere sul genere umano, in cui gli umili saranno rialzati, gli oppressi rivendicati a libertà, tutti i figli degli uomini redenti nella giustizia e nella grazia.

5. Turbe d’uomini, di donne, e di fanciulli gli si affollavano intorno per bearsi della sua parola, per gioire della sua vista, per respirare l’aria che egli respirava.

6. Io, suo parente, membro della sua famiglia, seguivo assiduo i suoi passi, I Romani cominciavano a sospettare di lui, a temerlo e cercavano il modo di impadronirsi della sua persona senza porgere alle turbe occasione di sollevarsi.

7. Spesso egli riparava nella mia casa in Betania, perocché la mia famiglia era la sua; io, le mie sorelle, Maria e Marta, vegliavamo su di lui, perché non cadesse in mano dei Romani che, sospettosi e cupi insidiavano alla sua vita.

8. Ma egli non conosceva né timore, né riposo, errava sempre dai laghi di Genesaret al Carmelo e al Giordano sino a Gerico ed Ebron per portare la nuova parola di giustizia al popolo di Giuda e Samaria.

9. Ora accadde, che un giorno io, caduto infermo, non potei seguirlo nei suoi pellegrinaggi, morii e fui sepolto nel monumento.

10. Egli, benchè lontano, sentì che ero gravemente infermo, vide la mia morte, e precipitoso ritornò sopra i suoi passi verso il mio ostello, in Betania.

11. Le turbe, appena lo videro arrivare, lo circondarono implorando, che venisse a confortare le mie sorelle piangenti sulla mia tomba; ma egli, calmo, rivolgendosi alle turbe, disse: “Lazzaro non muore; “il suo giorno è lontano, lontano ancora.”

12. Io giacevo da tre giorni nel sepolcro, allorquando arrivò Gesù. Egli fece togliere via la pietra e gridò con gran voce: "“Lazzaro, vieni fuori.”

13. Io mi rizzai sul sepolcro avendo mani e piedi fasciati e la faccia involta nello sciugatoio.

14. Gesù disse ancora: “Sciogliete e vada.” Io mi levai e mi sentii come tramutato e pieno di spirito novello, perocché il suo spirito erasi trafuso e scolpito in me; seguitai le orme di Gesù, né volli più abbandonarlo.

15. La mia risurrezione, i prodigi che faceva ad ogni passo, le opere di carità che seminava sul suo cammino, mescolandosi colle turbe afflitte, col popolo oppresso, empivano di santo fervore le popolazioni, di terrore e di sospetto i governatori di Roma; epperò deliberarono di farlo morire.

16. Essi volevano inpadronirsi di lui, ma temevano le turbe, dalle quali era cinto e difeso, e che non cessavano dal proclamarlo l’Eletto, il Santo. Però cercavano qualche pretesto per perderlo.

17. Si avvicinava intanto il giorno della Pasqua, che è per gli Ebrei la festa della liberazione, e Gesù statuì di fare in tal giorno l’ingresso suo in Sionne, e là sopra il Sinai proclamare il nuovo regno della giustizia, della pace e fraternità per tutti gli uomini.

 

CAP. 10 - LA PRIMA CROCE

 

1. Come prima si diffuse la voce, che Gesù doveva entrare in Sion, una turba sterminata di popolo gli mosse incontro; lui riconobbe come l’ultimo rampollo della stirpe di David, lui proclamò re, lui Messia e liberatore.

2. Allora Pilato e i soldati rompendo la folla, lo circondarono e, afferrandolo, gli dissero: “Sei tu dunque il re de’ Giudei?”

3. Gesù che non sapeva né dissimulare il pensiero, né mentire, rispose: “Tu lo dicesti; io sono re; “per questo sono nato, per questo sono venuto al mondo a testimoniare della libertà del popolo”.

4. “Cesare solo, rispose Pilato, è re e Dio” . E lo fece afferrare dai soldati, gettare nel carcere, per essere giudicato.

5. Il giorno dopo venne tradotto innanzi ai giudici Ebrei; ma i giudici ebrei, soggetti ai Romani, non avevano facoltà di vita e di morte sull’accusato.

6. Però i giudici e i sacerdoti, che avevano uomini prudenti, conservatori e moderati, al vedere le turbe infiammate, eccitate da Gesù e che, fremendo, ardevano di sollevarsi contro i Romani e rompere a guerra aperta, tennero consiglio e dissero:

7. Se lo lasciamo procedere, il popolo insorge, tutta la Giudea si leva alle armi. Verranno i Romani e distruggeranno del tutto il tempio e la nazione.

8. E si levò Caiffa e disse: ”Meglio giova che muoia uno che tutto il popolo”.

9. Riconsegnarono Gesù ai Romani, i quali, per sedare il popolo, che già tumultuava, e per incutere terrore alla nazione, lo tradussero sul Goldota per farlo morire.

10. Allora innalzarono una Croce e a quella sospesero Gesù, e per fare maggior scherno al popolo Ebreo, apposero sulla Croce un cartello, in cui stava scritto: “Ecco il vostro liberatore, Gesù il Nazareno, re dei Giudei”.

11. Io ero deliberato di seguirlo sulla Croce e morire con lui. Ma egli impose le sue mani sulla mia fronte e disse:

12. “Tu non devi, non puoi morire. – Lo spirito di vita è passato su di te, e tu vivrai e ti estinguerai per rinascere le cento volte, finchè la vita, che è in te, e lo spirito del vero Evangelo, per te compenetri il cuore, animi, scaldi la fibra di ogni uomo.- Questo non è che il primo Calvario: - Quanti Golgota vedrai levarsi innanzi ai tuoi passi sulla terra e martiri e Croci! Vivi, lavora, pensa e spera”.

13. Furono queste le vere, supreme parole pronunciate dal Cristo. Poscia invocò il Padre suo che è ne’ cieli; Egli scese a lui, Egli si levò ad Esso, e tutto fu compiuto.

14. Su me, da allora non ebbe più impero la morte; a periodi determinati e fatali mi estinguetti per risorgere a periodi determinati.

15. Uno dei periodi della mia esistenza testè si è chiuso con la liberazione d’Italia e di Roma, ed altro sta per aprirsene.

16. Ora tu mi ascolta ancora e scrivi; ascolta nella sua realtà il mio passato, che compendia la storia del genere umano, e dal passato prendi norma e lena per fondare l’ordine nuovo che è scritto nel cielo, e che debbo rendere manifesto per te ai figli degli uomini.

 

CAP. 11 – LA MORTE DI GESU’ E LA RISCOSSA D’UN POPOLO.

 

1. Quando Gesù esalò sul Gorgota l’estremo respiro, non è vero che la turbe degli Ebrei, raccolte intorno alla Croce, esultassero e plaudissero i Cesari e a Roma. E’ questa la più turpe delle menzogne scritte nei falsi Evangeli.

2. E in nome di quel Cristo, che io vidi sospeso sulla Croce, in nome del Dio vivente, che parla sul mio labbro, io giuro al cielo, alla terra:

3. Che, appena egli diede l’ultimo respiro, un urlo di orrore ruppe dal popolo raccolto; poi seguì un silenzio funereo, come se il sole si fosse oscurato con lui, come se con lui tutto un popolo fosse crocifisso.

4. Questo popolo, che il giorno prima aveva salutato Gesù come Redentore, lo aveva acclamato re, aveva assistito a’suoi miracoli, come mai avrebbe plaudito alla sua morte, inflitta da Cesare, dai Romani, che esso aborriva? Basterebbe la contraddizione a sbugiardare la universale accusa.

5. Anzi la turba, dopo la sua morte, si disperse, fremendo, in silenzio giù per la valee del Calvario, e di Giosafatte, stordita di orrore, e ardente di vendetta.

6. Io, gli apostoli, i discepoli, i capi della moltitudine circondammo la Croce, e dalla Croce ne staccammo il cadavere, e, raccolti intorno alla salma adorata, giurammo di vendicarne la morte sui Romani; e seguitando i precetti del maestro, chiamare a libertà tutti gli oppressi fra gli Ebrei e fra i Gentili.

7. Da quell’istante la Croce divenne per tutti un segno sacro, segno di redenzione alla Giudea e ai popoli oppressi.

8. Io, Maria sua madre, le sue sorelle e molti dei suoi discepoli, lo abbiamo ravvolto nel lenzuolo, lo abbiamo deposto nel monumento, e ogni giorno una folla di popolo ne visitava il sepolcro, piangendo e dicendo, che egli non era morto, che non poteva morire e avrebbe spezzato il suggello della tomba e sorgerebbe a nuova vita.

9. Ed egli viveva infatti in noi tutti.

10. Io pieno del suo spirito, mi unii a Giuseppe d’Aretinia, a Nicodemo, ai fratelli di Gesù, a Matteo, a Pietro, a Giuda di Galilea, poscia ci recammo nell’Arabia, in Antiochia, nell’Asia Minore, chiamando il popolo a libertà e recando in ogni luogo la buona novella.

11. Tutta la giudea era in fuoco, ardeva di scuotere il giogo, dello straniero, di proclamare la guerra contro Cesare e la libertà dei popoli.

12. Ogni giorno era segnalato da qualche insurrezione, ora un borgo, ora una citta insorgeva contro la tirannia di Cesare, ed ogni insurrezione era seguita da persecuzioni atroci, da giudizi militari, carneficine e crocifissioni.

13. Finalmente, dopo tanti tormenti, stanco di sovizie, di persecuzioni così efferate, il popolo di Giuda si strinse in un patto, dall’uno all’altro estremo della Siria insorse come un solo uomo, e proclamò: guerra e morte a Cesare.

14. Tutti, soppresse per un istante le ire partigiane, si accordarono in un intento, ruppero in un solo grido: “Fuori lo straniero”.

15. Il popolo si ordinò nel silenzio in ischiere; nel silenzio si armò: Poscia, insorto nel giorno, nell’ora designata, cacciò i Romani dalle città, li assaltò nelle fortezze, li snidò dalle rocche, dai loro ripari, li costrinse a gettarsi nei campi aperti. Colà le strade, le foreste, i campi, le giogaie dei monti brulicavano di cittadini armati, i quali fecero macello delle milizie di Cesare, e la Giudea fu liberata dall’uno all’altro estremo dagli eserciti stranieri.

 

CAP. 12 – IL MORIA E LA SECONDA CROCE.

 

1. Cesare, fremente di sdegno, ardeva vendicarsi del popolo insorto, di punire Sionne, che sola nel mondo intero, osava resistergli.

2 .E raccolse gli eserciti da ogni parte del mondo per guidarli a combattere un piccolo popolo: Galli, Britanni, Itali, Germani, Egizi, Arabi, raccolti e confusi nelle sue schiere, mossero contro la Giudea.

3. La lotta, come è noto, fu lunga e spaventosa; una delle guerre più tremende che abbiano insanguinato il mondo antico, la prima guerra di popolo contro la tirannia di caste e di re.

4. Venti eserciti vennero debellati e tagliati in pezzi da questo piccolo piccolo popolo, ed altri venti ne rinnovò Roma, e li spingeva per opprimere Sionne.

5. Ma la forza non poteva contro la virtù di popolo; si ricorse alle astuzie, e gli artifici di guerra furono delusi ancora e sventati, e torri, e macchine, e trincee venivano nelle frequenti e impetuose sortire degli assediamenti atterrate ed arse.

6. Dopo dieci anni di assedio, non potendo espugnare Sionne colle armi, si volle espugnarla con la fame; si cinse la città come di un muro di ferro; mancò l’acqua, mancò il cibo, e, dopo dieci anni di guerra, gli assediati esausti cadevano consunti dalla peste, affranti dalla fame.

7. E nella città, vinta non dall’uomo, ma dai morbi, dagli elementi, i Romani penetrarono per la breccia, e non trovarono più che cumuli di cadaveri, incendi fumanti e rovine.

8. Solo un manipolo di armati composto da Cristiani, di popolazioni, di nazzareni, di operai del tempio stavano raccolti ai piedi del Moria, deliberati di fare scudo col loro petto al santuario.

9. I Romani avanzavano legioni su legioni, e quelli contendevano il terreno a palmo a palmo; dai monti correvano giù rivi di sangue commisto degli Italiani, dei Galli, dei Britanni, degli Ebrei o Nazzareni. Io pugnava in mezzo di loro.

10. Quando, risospinti di lotta in lotta, stremati d’uomini e di forze, noi vedemmo le soldatesche straniere irrompenti nel cortile del tempio crescere sempre a guisa di flotto sopra flotto, e ogni resistenza riescere vana.

11. Allora io, i sacerdoti, i leviti, gli operai del tempio ne appiccammo il fuoco ai quattro angoli, in un subito il tempio divampò d’un incendio immenso, che tutta la Giudea ne fu come illuminata.

12. Vecchi, donne, fanciulli, popolani ci gettammo, salmeggiando a Dio, entro i vortici dell’incendio; invocando la morte, anziché cadere nelle mani dello straniero.

13. Di fronte sorgeva il Golgota, dove era stato crocefisso l’uomo-Dio; qui il Moria dove spirava il popolo-operaio; ambo imolati da Cesare.

14. Due croci, due morti che dovranno ritemprare di nuova vita il mondo. Roma aveva in quel momento vinta Sionne; e Sionne vinta rinnoverà Roma.

 

CAP. 13 – LAZZARO NON PUO’ MORIRE.

 

1. Io non potei spegnermi, annientarmi in quel giorno nefasto. Mi slanciai nelle fiamme del tempio, e una mano di ferro mi risospinse dalle fiamme.

2. Mi precipitai giù dalla torre di Davide, che ardeva in fiamme, invocando che rovinasse su di me e mi seppellisse sotto le sue macerie, ma piombai sopra acervi di cadaveri inceneriti, e non potei morire.

3. L’affiato del Salvatore, strappandomi al sepolcro, era passato sopra di me e sulle mie due sorelle Marta e Maria, e non potemmo morire.

4. Ero condannato a vivere per soffrire delle sofferenze di tutti i popoli e, testimonio della Passione del Cristo, patire delle sofferenze di tutte le genti, e a tutti portare l’esempio della sua calma serena e ineffabile e della sua fede incrollata.

5. E a tutti potere un giorno recare la sua parola di consolazione e di speranza, il Vangelo vero della salute.

 

CAP. 14 - LAZZARO IN ROMA.

 

1. E là, sulla soglia del tempio, sulla vetta del Moria, io mi struggeva per la Passione e la morte di un popolo, come dianzi nel Golgota sulla Passione e sulla morte di Cristo.

2. Là mentre io versava sopra Sion un pianto senza conforto, fui afferrato dai masnadieri di Roma e tradotto in mezzo ai prigionieri

3. A migliaia stavano i prigionieri incatenati nelle strade, nelle piazze della città. In mezzo ad essi ravvisai le mie sorelle Maria e Marta. Noi fummo riconosciuti dai nostri vincitori per rampolli della stirpe di Davide.

4. Avvinti di catene e confusi a migliaia di captivi, dovevamo essere tradotti in Roma, ornamento e orgoglio al trionfo di Cesare.

5. La strada che conduce a Roma fu irrigata dal sangue del popolo Ebreo: A Tiro, ad Antiochia, a Cipro, a Corinto, sino a Brindisi centinaia dei nostri fratelli venivano strappati alle nostre braccia, gettati pasto alle fiere del Circo, o svenati dai sicari, come spettacolo al popolo che plaudiva.

6. Plebe cieca e sciagurata, non si avvedeva, che la nostra sconfitta era la sconfitta di tutte le nazioni, la nostra morte la loro morte.

7. Spettacolo unico negli annali dei popoli! Questi infelici, provati da sventure così atroci, morivano sbranati dal dente delle fiere, e, mentre le zanne ne stritolavano le membra, essi non ristavano dal sollevare la voce salmeggiando al Dio vivente, al Dio di pietà e di perdono.

8. Giunti a Roma, le mani avvinte a tergo, segnati a dito, ludibrio alle genti, fummo costretti a seguitare il carro di Cesare lungo la via Sacra, sino all’Arco di Tito e al Colosseo.

9. E là, sotto l’Arco, furono scannati dai Sacerdoti Pagani e da Sicari romani i capi del popolo, i guerrieri, i leviti, come ecatombe a Cesare Dio, e il loro sangue correva a torrenti lungo la Via Sacra e il Foro e al Colosseo.

10. Il popolo gavazzava, ci scherniva, e plaudiva a Cesare trionfante, a Cesare-Dio.

11. Allora, per lo strazio immane dell’animo, io stavo per disfarmi a brani con le mie mani; il mio dolore aveva soverchiata ogni sofferenza umana.

12. Ma ecco che, mentre il sangue sgorgava dalle ferite aperte ed ormai esanime, io affrettava col desiderio dell’animo l’ora suprema, ed invocava liberatrice la morte.

13. Ecco levarsi pietoso e calmo Gesù Nazareno al mio fianco, e “Levati, disse, apri gli occhi e mira.”

14. Allora, aprendo o miei occhi già nuotanti nella morte, io vidi sopra citesta Roma baccante e trionfante come sospesa un’altra Roma.

15. Era percorsa da cima a fondo da demoni sterminatori, i quali ardevano i templi, crollavano la casa d’oro dei Cesari, rovesciavano gli archi di trionfo, ordinavano la strage dall’alto del Campidoglio e, al loro cenno, cascavano le statue sui piedistalli, crollavano i numi antichi sugli altari fumanti e tutto era incendio, rovina, urla di morenti e sbigottimento.

16. Voci dal Settentrione con strida di esultanza e di scherno, urlavano – è caduta, è caduta, è caduta.

17. Voci dall’Oriente echeggiavano, Allelujando: Il Cristo a vinto, Cristo trionfa, Cristo regna, Cristo impera.

18. E Gesù, che vegliava su di me, al mio fianco, distese la mano ancora, come aveva fatto presso il sepolcro di Betinia, e,

19. “Mira, tuonò, il tempo non esiste per l’uomo giusto: Attendi la fine”.

20. Allora chiusi gli occhi, io vidi ancora intorno a me Roma trionfante, gavazzante, baccante, che mi scherniva, mi irrideva, mi calpestava; ma io avevo eretto dentro il mio cuore come una rocca di granito; nessuna potenza terrena poteva scuoterla, nonché espugnarla. Irrideva, a’ miei schernitori, trionfava del loro trionfo; trionfo d’un giorno. E gridai ad alta voce, talchè ne risuonò l’Arco di Trionfo, il Foro, il Campidoglio: - Tu solo vivi in eterno!

 

CAP. 15 - IL COLISSEO E LE CATACOMBE

 

1. I sicari mi afferrarono e, cacciandomi fra le turbe degli schiavi e dei prigionieri, mescolanda di tutti i popoli della terra, mi hanno condannato con altre migliaia di Ebrei, di Nazzareni a lavorare alla costruzione del Colisseo.

2. Re, principi, guerrieri vinti, mescolati cogli schiavi di tutti i popoli della terra, erano costretti dalla ferocia dei Romani a sollevare quelle mura, immane monumento più dell’insania che non della grandezza di Roma antica.

3. Ogni sasso fu bagnato dal sangue ebreo, le mura cimentate col sudore delle nostre fronti. L’Ebreo in Roma doveva sollevare una mole, al pari del suo pensiero, eterna.

4. E dal lavoro oltraggioso, che fu nostro strazio e supplizio, la Provvidenza seppe pur fare scaturire inaspettata, inescogitabile, una sorgente di salute.

5. La sventura unisce. – Le catene, che avvincevano gli schiavi, gli operai di tutti i popoli, strinsero i lavoratori, gli schiavi, in un solo vincolo di effetti, di dolori, di fede e di speranza.

6. Quivi, sotto il flagello delle dure fatiche, il Greco prese a conoscere l’Ebreo questi ad affratellarsi col Gallo, col Britanno, col Germano, l’Oriente ad unirsi con l’Occidente, e gli operai, i diseredati di tutti i popoli, stretti da una stessa catena, formarono una immensa associazione, una Chiesa, una famiglia.

7. Ivi, mentre gli Ebrei, i Nazzareni portavano sulle spalle pei enormi e pietre, e calce, e legnami per l’edificio mostruoso, cominciò a svelarsi al barbaro, al pagano la parola del Redentore, si discoperse loro la immagine affettuosa e forte di lui, che incontra spontaneo la morte per la libertà degli oppressi.

8. Il giorno, curvi sotto il flagello dei sicari di Roma, eravamo costretti alle dure fatiche; la notte, ciascuno di noi si rialzava superbo, e giù nelle catacombe si ritemprava nella preghiera e nella fede.

9. Il giorno, operaio umile e calpesto, innalzava quell’edificio della violenza e della colpa; la notte artefice dell’Eterno, gettava le fondamenta della futura Chiesa, il tempio della fratellanza, della giustizia e della pace.

10. A breve andare, tutti i poveri, gli schiavi, le schiave, i diseredati, i sofferenti d’ogni classe e nazione, che riempivano Roma, s’unirono a noi nelle Catacombe, e tutti ci riconoscemmo uguali e fratelli.

11. Da Roma l’associazione si diffuse nelle provincie d’Italia, nelle Gallie, nella Germania, vincolo a tutti e simbolo, la Croce, voto comune, la liberazione in Cristo.

12. Cominciammo a contarci; noi eravamo migliaia, i nostri avversari decine; noi legioni, i nostri oppressori un pugno d’uomini.

13. Perciò in Roma già esistevano due Rome; l’una sovrapposta ed opposta all’altra. Da un lato la Roma dei vincitori, dei potenti, degli oppressori, degli oziosi, la Roma di Caino; dall’altro lato, la Roma degli schiavi, degli oppressi, degli operai, la Roma di Abele.

14. L’edificio della vecchia società si sfasciava, cadeva in frantumi; la nostra società invece, stendendo più e più vigorose le ramificazioni, s’innalzava sopra le sue macerie.

15. Il lavoro continuò per quasi tre secoli misterioso, occulto, inosservati; alfine, come albero che, dopo aver rassodate le radici nell’imo del suolo, si slanci rigoglioso all’aperto, si discoperse agli occhi dei potenti.

16. E, schiudendo gli occhi, essi si avvidero con terrore che ormai le file dell’esercito, gli uffici pubblici, la magistratura, il foro, la stessa reggia erano piene di Ebrei confusi coi Cristiani Nazzareni, di schiavi cospiranti, di sette diverse, le quali scalzavano dalle fondamenta la Roma dei Cesari e minavano loro il terreno sotto i piedi.

17. Distruggerli riusciva impossibile, era necessario o tirarli a sé, o cadere vinti da loro; o cedere e sottomettersi, o sottometterli. – Tale il dilemma che si presentò a Costantino.

18. Bisognava scegliere tra il principio di Roma o quello di Sionne, tra Cesare o Cristo, tra Caino od Abele.

19. E qui si apre una delle pagine più dolorose e oscure della storia, perrochè essa venne svisata, falsata, adulterata. Fu una delle menzogne più turpi che segnino gli annali dei popoli, uno dei tradimenti più iniqui che siano stati commessi contro l’umanità e contro Dio. Ora tempo è sorto, in cui la verità si proclami nella sua pienezza e che il vero giudizio si apra.

20. E tu mi ascolta, imparando la storia vera, profanata dai falsarj, mira di quanto male fu seme Costantino e la simulata conversione ad un falso Cristianesimo. Tu ascolta e lo proclama ai vivi.

 

CAP. 16 - LA STORIA.

 

1. La storia fu sinora, in molte parti, il pervertimento della realtà, la falsificazione dei fatti, triste eco degli errori, dei pregiudizi, delle rie passioni delle masse illuse, o servile adulazione ai potenti, o strumento d’inganni agli abili e furbi.

2. Non mira spesso che a magnificare i grandi, e giustificarne i delitti, a propugnare i diritti basati sulla colpa e sull’errore.

3. I forti la dettavano colla spada sguainata in mano, i timidi scrivevano falsando. Dopo commesso il delitto cercavano di giustificarlo, e siccome la violenza non può mai costituire un diritto, adulterando i fatti, elevavano il trono sulle menzogne e sulle colpe, che appellarono diritto.

4. La storia preparò così il trono alla colpa e alla menzogna; poi, quando il tradimento fu compiuto, il successo assicurato, si tentò, infamando il passato, di consacrare il regno della colpa.

5. Ma la colpa non genera che la colpa, come il veleno non produce che il veleno; e fu veleno quel che Costantino innestò nel florido albero di Cristo; veleno, che produsse lunga serie di delitti e inoculò nei popoli, l’insania, il pervertimento e la morte.

6. Ascoltami:

 

CAP. 17 – COSTANTINO O IL PRIMO TRADIMENTO

 

1. Costantino che, per antonomasia, fu detto il grande, non fu grande che per colpe atroci.

2. Giovanetto ancora aveva con tali sevizie tormentato e disperato il suocero suo che lo costrinse a suicidarsi.

3. Fece poscia strangolare il cognato, scannare un nipote, fanciullo che compiva appena quattordici anni; troncò di sua mano il capo al proprio figliuolo, e nello stesso giorno in cui convocava il Concilio di Nicea, quasi a consacrare il tradimento religioso e morale che il Concilio compiva, soffocava nel bagno la moglie Fausta, e sul cadavere di lei scannava i suoi fratelli, i suoi parenti, e gli amici.

4. Pure questi delitti sono ancora soverchiati da più turpi abbominj; - il parricidio commesso sopra Roma e sopra Italia; il tradimento contro Cristo, cui simulò di abbracciare e nell’amplesso tentò di soffocare.

5. Costui maculato di ogni colpa, quando s’avvide dell’invitto progredire della dottrina di Cristo, quando fu certo che una religione d’amore, di giustizia, di libertà stava per sottentrare a quella del servaggio, della violenza e del sangue.

6. Allora, raccolto a segreto consiglio il Pontefice dei Pagani, gli auspici, i patrizi, espose loro i progressi che aveva fatto la dottrina di Cristo, e come Cristiani e Nazzareni invadevano le scuole, le milizie, i pubblici uffici la reggia stessa:

7. E sterminarli era impossibile: Il Trionfo di Cristo avrebbe condotto seco la caduta di Cesare, la condanna dei Grandi, la rovina dei sacerdoti del trono e dell’altare; a scongiurare il pericolo e il danno non restava che un rimedio.

8. Quale? gridarono il pontefice, i sacerdoti e gli auspici:

9. Costantino li guardò beffardo, e con un riso truce seguitò : “ Il rimedio è facile se sapete applicarlo .

10. Simularsi Cristiani, fingere di abbracciare il Cristianesimo, rinnegandone la dottrina e continuando nelle opere del culto, nei riti, nella vita pubblica a rimanere pagani; infine abbracciare Cristo per schiacciarlo nell’amplesso.”

11. Tutti fecero plauso al concetto di Costantino come ispirato da Giove Ottimo-Massimo; e sacerdoti, guerrieri, auspici; patrizi, si adoprarono a gara per realizzare il pensiero di Cesare e divenne questo il nuovo segreto dell’impero.

12. Da quell’istante la religione del Cristo si confuse con quella di Cesare Imperatore. Si mutarono i nomi, ma perdurò la forma, la sostanza.

13. Giove si tramutò in Gesù, il Pontefice Pagano divenne pontefice di Cristo; gran parte dei riti e misteri di Mitra, di Cibele, di Adone, passarono nel culto Cristiano, e senza pur mutarne il nome, i colleghi, le pompe, i simboli del culto pagano passarono al cristianesimo.

14. La stessa apoteosi, che soleva trasformare gli imperatori in Numi, divenne una istituzione permanente; per essa il Pontefice si appellò egli stesso Vicario in Cristo e Dio in terra.

15. Ma tali mutazioni riguardavano solo la forma e l’esterno.-

Si penetrò poscia nel tempo, e colla frode e colla violenza si profanarono e si falsarono i libri sacri, i dogmi, la morale.

 

CAP. 18 - FALSIFICAZIONE DEGLI EVANGELI

 

1. Gli Evangeli, la vita, la parola del Cristo avrebbero potuto testimoniare contro le falsificazioni di Cesare. Conveniva perciò eliminare i primi Evangeli, sostituirne degli altri, e svisare la vita e la parola di Gesù per offrire ai popoli un tipo diverso da quello primitivo e sacro.

2. Esistevano i primi Evangeli dettati in ebraico da Matteo, da Luca, che ritraevano il vero Cristo venuto a portare la libertà ai popoli e a fulminare della sua parola Cesare e gli oppressori. Gli Evangeli primitivi furono distrutti; altri se ne sostituirono apocrifi e dettati in greco..

3. Non potendo coprire del tutto la frode e il tradimento, non si ardì di appellare quegli Evangeli falsati dal nome degli apostoli, ma li si chiamarono secondo la tradizione di Matteo, di Luca, di Marco.

4. L’Evangelo primitivo e vero predicava, come il Cristo era venuto a recare la luce, la salute al mondo, la redenzione agli oppressi, la elevazione degli umili;

5. Nei falsati Evangeli si scrisse essere venuto a predicare la fede cieca, la obbedienza e la devozione inerte, l’oblio di se, della dignità umana, a imporre l’ossequio servile a Cesare o al Sacerdote.

6. Gesù aveva proclamato la unità di Dio, e dall’unità divina doveva derivare la unità umana, l’uguaglianza degli uomini e la fratellanza dei popoli:

7. Ed essi volendo consacrare il principio della divisione, della disuguaglianza e assicurare l’antica gerarchia, e non potendo conservare l’Olimpo Pagano, immaginarono un Olimpo Cristiano con la trinità e la gerarchia degli angioli a cui corrispondeva la gerarchia della Chiesa e de’ suoi capi, mentre la Ecclesia primitiva era una riunione libera fra uguali costituita da tutti i fedeli.

8. Né ciò bastava ancora – Gesù non ha pronunziato mai le funeste parole, su cui si fondò il servaggio dei secoli moderni: “ Date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio ”.

9. Anzi Gesù, che intendeva liberare un popolo dalla servitù straniera; abbattere gli arbitri di Cesare e dei Romani; liberare l’uomo dal dominio e dalle ipocrisie dei preti e dei farisei; liberare lo schiavo dal monopolio del padrone, l’uomo dal monopolio dell’uomo.

10. Gesù predicò apertamente: “ Date al popolo quello che spetta al popolo, date all’uomo quello che spetta all’uomo ”.

11. Cioè rendete al popolo la sua indipendenza, la sua libertà, le leggi avite; rendete all’individuo la sua dignità, i suoi diritti naturali; - e predicava una religione spirituale e libera.

12. Invece Costantino e il Pontefice di Roma, sostituendo al concetto redentore le parole : “ date a Cesare quel che è di Cesare ” veniva a ribadire con la parola e col precetto di Cristo le catene con cui opprimeva i popoli, a consacrare le prepotenze di Cesare, come gli artifici e le ipocrisie dei preti, che si dicevano rappresentanti di Dio.

13. Infatti, che voleva Cesare ? Reclamava il diritto di Roma sopra tutte le nazionalità della terra, il diritto dell’Imperatore sulla vita e sulle sostanze dei sudditi. – Che rimaneva allora al cittadino ? La redenzione dell’uomo sarebbe stata una ironia, una menzogna.

14. Ironia nel regno temporale. Ironia nello spirituale. Infatti, ciò che Cesare avrebbe lasciato all’individuo lo usurpava Dio, ossia il prete in nome di Dio, perché il prete a sua volta, pretendeva e poscia reclamò ed ottenne l’impero sullo spirito, sul cuore, sulla coscienza dell’individuo. – Al primo il dominio materiale; al secondo il dominio morale. Che sarebbe rimasto all’uomo ?

15. Cesare e Pontefice si dividevano così il dominio del mondo: all’individuo, ai popoli non rimaneva che prostrarsi, obbedire, servire e lavorare per essi.

16. Cesare e Pontefice erano tutto; individuo, popolo, nazione erano nulla.

17. Né basta ancora – Cristo intendeva di ricondurre l’unità nel mondo e nella società, proclamando sé Re della giustizia, profeta e redentore del popolo, consacrando l’uomo-uno in terra come l’Adamo primitivo, come è Dio uno dei cieli;

18. Ed essi all’unità sostituirono il dualismo: Cesare e Dio, impero e papa; e al di sotto di loro giaceva calpesto il popolo servo di tutti. Da tal fonte scaturirono le guerre intestine, il dualismo, le rivoluzioni, che dovevano poi lacerare per secoli tutte le società moderne.

19. Ai simboli del Cristianesimo primitivo, che erano la luce, il sole, l’olivo, la Croce trionfante, la Risurrezione di Lazzaro, dell’operaio lo Spirito santo e la libertà del popolo, Costantino e il pontefice pagano sostituirono una Croce diversa, la Croce infitta nel Labaro, segno dell’impero, l’adorazione dei chiodi, delle tenaglie, dei ferri e arnesi di tortura, e un Cristo crocifisso, spirante o morto.

20. Cristo era spirato sulla Croce per liberare la umanità: essi elevarono la Croce, per appendervi il popolo e crocifiggere il genere umano.

21. Cristo aveva detto: “ non adorate me, ma il mio spirito, la mia dottrina.” Essi inventarono le favole più assurde intorno alla Vita di Cristo, innestandovi le favole propalate intorno a Giove, ad Ercole, ad Adone, Iside, Marte ed altri divinità del paganesimo; poi celandone o falsandone la dottrina, imposero al popolo di celebrarne i fatti e le favole propalate, e di adorarne il corpo, il cadavere; non la parola e lo spirito.

22. Molti dei veri cristiani si avvidero dell’inganno, della falsificazione degli Evangeli, e si ribellarono, gridando al tradimento, alla profanazione, imprecando contro il nuovo Paganesimo mascherato di Cristianesimo. Allora Costantino raccolse il Concilio di Nicea, per far sanzionare dai vescovi gli errori imposti e consacrare le bestemmie oscene ed empie.

23. Nel Concilio molti vescovi rifiutavano di prestarsi docilmente a sanzionare quella nefanda mescolanza di errori, di empietà insulto al cristianesimo. Allora Costantino fece scacciare, flagellare, uccidere coloro che si ribellavano alla sua volontà, e questi in nome del vero Cristo, furono costretti ad abbandonare il Concilio, sino a che i pochi rimasti s’inchinarono ciechi e divoti agli ordini di Cesare.

24. Per tale modo il falso Cristianesimo fu sostenuto al vero; così un Cristo falso, schiavo di Cesare, si sostituì al Cristo vero, amico del popolo, proclamatore della libertà e dell’uguaglianza degli uomini. Falsificati e trasfigurati i veri Evangeli, Cesare e Pontefice si accordarono per illudere il popolo e dominarlo.

25. Per tale modo Costantino, più reo di Giuda, compì il gran tradimento verso Cristo, fingendo di abbracciarlo e gettandoli ai sicarii, per farne a brani il corpo e la dottrina.

26. Ma in Roma la vera dottrina di Cristo aveva gettato radici troppo profonde, per poterla avellere e prostituire. Conveniva cercare altro terreno, per imporvi il Cristianesimo tralignato. E allora Costantino meditò il secondo tradimento verso l’Italia e verso Roma.

 

CAP. 19 - IL SECONDO TRADIMENTO DI COSTANTINO.

 

1. Roma fu, sino dalle origini, centro e ritrovo delle razze diverse, che avevano preso stanza in Italia. Però si appellò, fino dai primi tempi, con tre nomi misteriosi e significativi, e ogni nome, quasi avvolgesse in sé un destino, un periodo storico, corrispondeva ad una delle alte missioni, che essa era serbata a compiere nei secoli.

2. Roma, nella lingua antichissima italica significava Mamma e Mammella.

3. Roma che, invertendo le lettere, suona Armo, significava la sua missione conquistatrice, la Roma forte, politica e guerriera. Roma, Amor, era il nome sacerdotale e arcano, quello che doveva rappresentare il giusto diritto e la legge umana e divina.

4. Essa, si appellò pure Angerona ed Esculapio, che significa la scienza. Tre nomi che rappresentano tre destini; la guerra, la fratellanza delle genti, e la scienza.

5. Quindi la marzia Roma era triplice; tra classi, tra tribù, tra idee, che dovevano fondersi in una, nei simboli corrispondenti ai tre destini che la città fatale doveva compiere nel corso dei secoli. Al nome rispondevano simboli significanti le idee.

6. La lupa rappresenta la violenza e la forza; fasci simboleggiano l’unione e l’amore. I flaminii significavano la ragione e la scienza.

7. Primo fondatore della città fu il guerriero Romolo; ma chi le diede la legge e le comunicò lo spirito di progresso, di giustizia e di vita furono i sommi filosofi italici della Magna Grecia, figli di Pitagora, e il loro discepolo Numa.

8. Quindi sino dai primi tempi vediamo crescere di conserva in Roma, una a fronte dall’altra, due Rome. Al fianco della città guerriera e violenta sorge la città delle virtù civili, dell’unione dei popoli latini, aspiranti a giustizia e a libertà. A lato della prepotenza delle caste, il popolo che anela all’uguaglianza e al diritto comune; presso il patrizio e il guerriero, l’agricoltore e l’operaio.

9. Questa Roma della libertà e della giustizia sociale venne sempre osteggiata dai patrizii, combattuta dai sacerdoti, ma non poté mai essere soppressa e vinta. Anzi ebbe sempre sommi rappresentanti, ora nei tribuni, ora nei filosofi, ora nei giuristi, ora nel popolo, ora negli stessi senatore, alcuni fra i quali patrizii.

10. Quando il periodo delle conquiste fu chiuso, e la città, l’urbs, si vide padrona del mondo.

11. Allora sorse Giulio Cesare. Egli con la vasta sua mente comprese che un nuovo periodo si era levato sopra Roma e sul mondo, comprese che il primo periodo, in cui dominava la violenza e la spada, doveva cedere il campo a quello dell’unione dei popoli e della elevazione dei poveri e degli oppressi;

12. E a consacrare i nuovi tempi volle convitare tutti i popoli del mondo in Roma, aprire loro le porte del Senato, sicché ogni razza, ogni gente, Galli, Germani, Greci, Giudei, Egizi, avessero la loro rappresentanza nel Senato, entro la città eterna.

13. Più, volle proclamare la legge agraria, talché ogni cittadino possedesse il suo campo, e la terra, quanto è vasta, fosse coltivata da uomini liberi, o dai vecchi militari.

14. Però i senatori, i patrizii, gli antichi romani, che vivevano di privilegi e di guerre, temevano di perdere i loro immensi latifondi e i diritti avuti, che loro davano pieno podere sulle plebi;

15. Essi cospirarono contro la vita di Giulio Cesare; il più grande dei romani venne a tradimento trucidato dai loro pugnali, nel mezzo del Senato, ai piedi della statua della libertà.

16. Bruto e Cassio, cospiranti coi conservatori di Roma, trucidavano Cesare; ma le idee di libertà e di riforma propugnate dai Gracchi, da Cesare e dai filosofi di Roma, non potevano morire e la Provvidenza, mentre Giulio cadeva trafitto in Roma, apriva le vie inescogitate per farle trionfare.

17. Esse fermentavano da secoli nel seno di un piccolo popolo d’Oriente e formavano non solo la sua legge la fede politica, ma la sua religione; e Gesù Cristo le raccolse, le compendiò in sé, e per esse visse, per esse morì, le suggellò col suo sangue e il suo sangue doveva rinnovare il mondo.

18. Quasi a significare gli arcani destini, che vincolavano quei due spiriti, la comunione dell’idea loro, le stesse iniziali del Romano, J.C., che indicano il nome di Julius Caesar, sono quelle consacrate dal nome del Giudeo-Jesus Cristus.

19. Il concetto politico di Cesare diveniva concetto religioso, fede in Gesù, fuoco di passione, che in breve suscitò e infervorò a mille i suoi discepoli, i quali, fatti apostoli della giustizia universale, si sparsero pel mondo a predicare la buona novella ai popoli.

20. I patrizii, i senatori, i guerrieri, gli imperatori sospettosi e tristi che erano succeduti a Cesare, quando s’avvidero che il concetto politico di lui diveniva religione e fede in Giudea, deliberarono di distruggere Sionne, come avevano trucidato Giulio Cesare e crocifisso Gesù, e seppellire così, sotto le sue ceneri e colla distruzione di questo popolo, ogni pensiero di libertà.

21. La dall’incendio di Sionne si staccarono lizzi ardenti e sprizzarono scintille inestinguibili che dovevano accendere e fare divampare di nuova fede il mondo.

22. I vinti, gli oppressi, gli schiavi della Giudea, si rovesciarono sopra Roma; e i Romani di Numa, dei Gracchi, degli Scipioni riconobbero nell’idea e nella parola cristiana l’antica voce italica, e gli istinti di libertà e di uguaglianza che agitò per otto secoli il cittadino romano.

23. I filosofi, gli stoici, gli umanisti, i Pitagorici, i giuristi, che tenevano pur sempre le loro scuole in Roma, e insegnavano le virtù antiche ai sommi giuristi, indipendenti nell’ascoltare la dottrina di Cristo.

24. Questo esclamarono, è lo spirito di Pittagora redivivo, questa è la sapienza dei secoli, che dall’Oriente è venuta in Occidente, ed ora vi risorge e si diffonde, questa la verità predicata da Epidocle, da Ippocrate, da Socrate, dai sommi filosofi e giuristi. Lo spirito si fece corpo, il verbo carne, la ragione passione, la passione religione e fede, che anima le masse e le spinge a spezzare le catene del genere umano.

25. Molti degli antichi romani si associarono a noi e si convertirono al Cristianesimo; altri avversi alle brutture dei Cesari, senza essere convertiti alla nuova fede ne seguivano i precetti, lodavano lo spirito, ne propagavano il pensiero; avveniva quindi in Roma che, malgrado la ferocia dei Cesari e la baldanza dei patrizii, lo spirito del vero Cristianesimo aveva gettate le più profonde radici.

26. Però; appena la Roma della libertà, la Roma dell’umanità e della filosofia, conobbe il nuovo patto stretto tra il Pontefice pagano e Cesare, per adulterare il Cristianesimo e coprire le brutture Pagane sotto la vesta immacolata di Cristo.

27. Si sollevò un grido solo d’indignazione, di orrore, per riprovare l’opera di Cesare, per condannarlo per respingerlo.

28. Tutti gli antichi e veri Romani, i filosofi, i giuristi, i pochi patrizii, che nel Senato tenevano alta la dignità umana, e a cui ardeva nel cuore il fuoco di libertà, si univano ai veri Cristiani per opporsi al tradimento di Cesare.

29. In Roma ogni sasso gridava libertà, ogni edificio ricordava i fasti repubblicani le catacombe e le scuole, le chiese animava lo spirito nuovo, si legavano come monumenti, parola vivente di libertà e di rigenerazione morale.

30. In Roma, Cesare non avrebbe mai potuto impunemente consumare il suo tradimento. Tutto gridava contro di lui, epperò statuì di trasportare la Capitale lungi da Roma, di fondare la nuova città fra un popolo molle, effiminato, avvezzo alla schiavitù, educato all’ipocrisia, all’equivoco e al tradimento.

31. E là, nell’Oriente, elevò una città nuova, che doveva sostiruirsi a Roma, e che chiamò dal suo nome Costantinopoli. La popolò di uno sciame d’eunuchi, di patrizii corrotti, di preti simoniaci, di cerretani; rea mescolanza di plebaglia senza nome, senza tradizioni, senza costumi; e, abbandonata la Roma che serbava sempre le grandi tradizioni di repubblicana, di filosofica, di giuridica, fissò la sede alle porte dell’Asia, a Bisanzio, che divenne fetida sentina del falso cristianesimo.

 

CAP. 20 - IL TERZO TRADIMENTO DI COSTANTINO.

 

1. Ma l’opera di ipocrisia e di menzogna non era con ciò compiuta ancora; un altro tradimento più odioso doveva suggellarla; altro vituperio doveva imprimere sul fronte di Roma, antica per umiliarla.

2. Col trasloco della capitale di Roma, egli aveva tradotti dietro di sé gli istrioni, gli eunuchi, le meretrici, i gladiatori, la matrone, i patrizii, tutta la melma e tutto il marciume che infestava la città imperiale.

3. Vi aveva però lasciato gli antichi militari, i filosofi, gli storici, gli operai, o gran parte di questi allora furono privi di sostegno, di lavoro e gettati nello squallore nella miseria.

4. Colla povertà, colla miseria si pensava di domare, di avvilire la fierezza del popolo di Quirino, ma temendo ciò non bastasse ancora per fiaccare gli spiriti virili, ardenti ad un tempo di valore romano e della virtù ritemprata nella fede di Cristo, Cesare si intese col Pontefice per compiere altra opera iniqua.

5. Nella primitiva Ecclesia Cristiana tutti i fedeli erano uguali; nessuna gerarchia; tutti uguali innanzi a Dio.

6. Ma egli sostituì una nuova Chiesa alla primitiva. Volle si conservassero gran parte dei riti, delle cerimonie pagane si ricostituisse l’istituzione dei collegi dei flaminii, dei pontefici, delle vestali, degli auguri. E questi, appellandosi col nome di cristiani, continuarono ad esercitare le arti, i riti e le cerimonie pagane.

7. Il sommo Pontefice continuò a rappresentare la più grande dignità religiosa a Roma e a dominare sopra tutti gli altri ministri della religione, a presiedere ai collegi e a consacrare i sacerdoti; continuò ad appellarsi, come appo i pagani, Pontifex Maximus; ma invece di rappresentare Giove e Giano, si qualificò quale vicario di Cristo.

8. Il Pontefice pagano, il quale vedeva ormai disertati i templi, di Giove, di Giano, della Fortuna, di Cibele e di Vesta, mutò questi nomi in quelli di Pietro, di Paolo, di Marco, di Maria madre di Dio, e l’antica e austera semplicità del culto cristiano, che rifuggiva dalle pompe vane e dalle cerimonie teatrali, fu sostituito dalle, pompe e dai rituali pagani, i quali, per ironia, si appellarono a Cristo.

9. Egli si chiamò per ipocrisia il servo dei servi mentre volle essere, ed era il dominatore di tutti; simultò la pelle del mite agnello e serbò gli atti della lupa vorace.

10. Ai tempi di Roma pagana l’imperatore riuniva in sé la dignità del Pontefice; ma trasportando l’impero a Bisanzio, lasciò al Pontefice la potestà sopra Roma, e serbò a se il dominio del resto del mondo.

11. A lui la spada per soggiogare il corpo per dominare i popoli; al sacerdote la mitra, i terrori dell’inferno, le superstizioni per soggiogare gli animi, impaurirli e informarli alla cieca fede e al servaggio.

12. Simulando poi di sanzionare il nuovo regno della violenza con la parola di Cristo, essi intentarono il detto che doveva divenire così funesto all’umano genere: A Cesare il dominio del mondo; a Dio o al prete, il dominio assoluto degli spiriti, delle coscienze, dei cuori.

13. Così costoro, Imperatore e Papa si divisero il mondo. Il tradimento contro Cristo fu consumato e Cristo fu tradito, falsificato, e crocifisso un’altra volta.

14. E per meglio soggiogare, umiliandola, Roma. Quindi furono dati in balia dei preti, decurtando ed un tempo e Cristo e Roma e l’Italia.

 

CAP. 21 – CONSEGUENZE DEL TRIPLICE TRADIMENTO

 

1. Da questa sfera elevata, in cui ti parlo, e dove posso dominare il corso della storia e del tempo, ti affermo, che l’uomo è libero sulla terra, e basta talora un fatto, la volontà d’un uomo per sviare il torrente dei tempi e indugiare per secoli la maturanza di quei destini che la Provvidenza ha segnati.

2. Il triplice tradimento di Costantino ritardò di oltre due mila anni, che la buona semenza gettata dal Cristo potesse svolgersi e fiorire.

3. La vera dottrina del Cristo, diffusa tra gli uomini per unire e conciliare, non per disgregare e distruggere, avrebbe a poco a poco assimilati a sé gli elementi vigorosi dell’antica società Romana che penetrava dallo spirito nuovo, avrebbe prodotto in breve tempo miracoli d’intelligenza, di civiltà ed amore.

4. Costantino col triplice tradimento diede l’ultimo crollo all’edifizio antico sociale, già crollato; lo svelse dalle sue fondamenta, che erano Italia e Roma; egli falsificò, contraffece il Cristianesimo, che è verità, fraternità e giustizia, e aprì la età moderna, che diverrà per l’opera sua la più funesta che mai sia sorta pel genere umano.

5. Alla libertà proclamata dal Redentore e suggellata sol suo sangue, sarà sostituito il triplice servaggio: delle nazionalità; il servaggio fisico e il servaggio morale degli individui, fatti schiavi e manomessi a volta a volta da Cesare e dai preti e dai nobili.

6. Alla verità, sarà sostituita l’ipocrisia, la menzogna che vestiranno le sembianze della verità; alla libertà, la schiavitù che si appellerà redenzione, alla legge l’arbitrio dei despoti e prepotenti; alla luce, le tenebre, alla civiltà, alle scienze, la barbarie.

7. Invece del regno di Cristo, si leverà quello di Satana. Invece dell’amore, irromperà il regno dell’odio.

8. Tu sembri dubitare della mia parola. Ma io che ormai posso abbracciare il procedere e avvicendarsi di queste età nel loro complesso, veggo spiegarsi innanzi al mio sguardo una serie continuata di violenze, di discordie, di carneficine. Sono Cristiani che insorgono contro cristiani, popoli contro popoli, razze contro razze; l’odio genera la violenza, la menzogna, la resistenza sinchè la menzogna non potendo attecchire si vuole imporre per mezzo delle persecuzioni, delle torture, e dei roghi.

9. L’età moderna appare al mio sguardo quali un torrente di sangue, che si allarga nel suo corso di età in età, e non porta fino al nostro secolo, tra’ suoi fiotti agitati, altro che martiri, vittime e fango e sangue.

10. Ed io, povero Lazzaro, che fui condannato a solcare le sue torbide onde, gettato di scoglio in scoglio, di rupe in rupe, ti posso dire che per tutto il suo corso non ha lasciata altra traccia che di maledizioni, d’ira, d’odio; fu l’inferno dei secoli.

 

CAP. 22 - L’ETA’ DELL’ODIO

 

1. L’epoca detta per antonomasia Cristiana, si apre colle inondazioni dei barbari, i quali, prorompendo dalle cupe foreste del settentrione vennero ad associarsi coi barbari dell’interno dell’Impero, e uniti insieme misero a fondo l’antica e florida civiltà del mondo greco-romano.

2. Quest’epoca si può dividere in tre grandi periodi, ed ogni periodo è un vituperio per l’umanità, una negazione del vero Cristianesimo.

3. Il primo periodo si appella dalle Crociate. Io vidi milioni di forsennati gettarsi da ogni parte di occidente e precipitarsi verso l’oriente, portando il terrore, il saccheggio, la desolazione nelle contrade di Europa che attraversavano, e spargendo l’esterminio sull’Asia che dicevano voler liberare.

4. La sapienza della Croce divenne la Follia della Croce. Il nome spiega l’epoca il delirio e la menzogna.

5. Gli illusi, ingannati dalle declamazioni di un monaco, dai delirii dei preti, credevano di combattere pel Cristo e combattevano contro Cristo; dicevano voler liberare il sepolcro del suo corpo, e ne laceravano il corpo, ne rinnegavano e straziavano lo spirito, che è fratellanza, carità e pace. Volevano liberare un sepolcro e scavarono a sé medesimi, colle loro violenze un sepolcro immenso, dove a milioni andarono miseramente sommersi e sepolti.

6. Ma mentre, mossi da un fervido entusiasmo, gli infelici illusi abbandonavano la moglie, i figli, le castella avide, il monaco, il prete, che rimaneva in Europa, a poco a poco si impadroniva delle loro case deserte, si impossessava dei loro vasti poderi. Conventi e chiese crebbero d’orgoglio e di ricchezza, mentre i Crociati combattevano e morivano, il sacerdote gozzovigliava, tesoreggiava come il padrone della terra.

7. Così si accresceva a poco a poco la ricchezza della Chiesa, che interpretava a suo profitto il – date a Dio quel che spetta a Dio: - così si gettarono le fondamenta del dominio temporale, così il clero mentre i Crociati cadevano in nome di Cristo, si impossessava della più fertile terra d’Europa in nome della Chiesa.

8. Né per tanto era satolla la cupidigia del prete. Esso voleva pure divenire padrone e arbitro dell’impero. E si apre il secondo periodo dell’età moderna; il periodo della guerra tra Cesare e Papa, tra l’impero e la Chiesa.

9. Prima, con le parole attribuite al Cristo: date a Cesare quel che è di Cesare, a Dio quel che è di Dio, l’imperatore e il papa si erano impadroniti del mondo, ma quando furono per dividerne le spoglie opime, cominciarono le contestazioni, le gare, le gelosie, per ottenere ciascuno a sé la più larga parte.

10. Concilii, congressi, dispute agitate e svolte in volumi interminabili scritte da Teologi, da Legisti, da Scolastici si affaticarono per determinare dove finiva l’impero di Cesare dove dovessero cominciare i diritti della Chiesa, o determinare i limiti tra i diritti della Chiesa e quelli dell’Impero, ma fu sempre opera vana. Essa doveva essere scritta a lettere di sangue – Si dovette venire alla prova delle armi, e fu una guerra che si prolungò per tre secoli.

11. Imperatore e Papa, dall’alto del loro trono, si azzuffavano, si guerreggiavano, imprecandosi l’un l’altro, scomunicandosi fraternamente, ma intanto, a buon conto, si erano impadroniti dei popoli.

12. Così, mentre essi sedevano sicuri tripudiando nei loro palazzi, l’operaio dalle officine, dal focolare domestico, li arruolavano fra le masnade dei loro eserciti, costringendoli a combattere pei diritti e della chiesa o dell’impero, diritti costituiti di violenza o di furto.

13. Chi combatteva pel papa, chi si faceva uccidere per l’imperatore, senza comprendere che imperatore e papa erano sempre concordi per opprimerli e spogliarli.

14. Ma lo spirito vero di Cristo, combattuto, rinnegato dai grandi; viveva per sempre in mezzo ai diseredati, agli oppressi, e d’ora in ora, suscitava taluno che imperterrito sorgeva a tuonare contro le iniquità dei forti e le bieche arti degli oppressori.

15. Si levò dapprima e protestò in Italia con l’Evangelo Eterno di Giochino da Flora; ma il sublime frate fu perseguitato e ridotto al silenzio; tuonò con Arnaldo da Brescia, e venne dal papa e da Cesare arso vivo in Roma; fulminò con la parola di Savonarola; agitò le masse intere di popolo del Nord, con l’indomito Husse, e fu arso vivo.

16. Si ardeva il corpo, ma lo spirito del vero Cristianesimo sopravviveva ai roghi e serpeggiava nel cuore delle moltitudini.

17. Invano papa, imperatori e potenti cospirarono contro lo spirito vero di Cristo, tentarono soffocarlo, falsarlo, ardendo nei roghi su cui bruciarono Arnaldo da Brescia, Savonarola ed Husse.

18. Lo spirito si scioglieva integro e immortale dalle fiamme dei roghi e continuava inflessibile il suo apostolato contro la menzogna, la frode, il tradimento. Le sue parole caddero finalmente in mezzo a’ popoli semplici e vigorosi. Lutero in Germania, Calvino nell’Elvezia proclamarono la riforma, e cominciarono a svelare, nella sua verità, i principi del Cristianesimo.

19. Contro il grido della Riforma insorsero il Papa, e l’Imperatore, che intendevano perpetuare il falso Cristianesimo. E il falso Cristianesimo, come aveva prodotte le Crociate, le guerre tra l’impero e la chiesa, aperse l’ultimo periodo dell’età moderna: quello delle Guerre religiose.

20. Guerre sterminatrici che, in nome di Cristo e della santa fede, inondarono di sangue la Germania, la Francia, le Fiandre, l’Italia e accesero centinaia di roghi, che gettarono una luce sinistra sulla Spagna e sull’Italia, e fecero imprecare alla fede e maledire alla religione.

21. L’abisso invoca l’abisso: si apre il periodo dello scettismo, della negazione, dell’ateismo.- Le guerre della religione suscitarono la guerra contro la religione.

22. Questa guerra schiuse il recente periodo fra cui si dibatte e lotta l’Europa: Da un lato la guerra ha tutte le religioni, e alla rivelazione, dall’altro la reazione e coloro che vorrebbero ricospingerci al passato e risuscitare il falso Cristianesimo.

23. Così l’età moderna, della Cristiana, si riassume in tre periodi che sono tre colpe, tre menzogne, tre oltraggi al Cristo. Le Crociate, che mentivano dicendo di liberare il sepolcro di Cristo, e immolarono i cristiani, tradirono lo spirito di Cristo. L’impero e la chiesa che usurpando i diritti di tutti sacrificavano i popoli alle loro ambizioni. Guerre religiose che riuscirono alla guerra contro alle religioni, alla reazione e alla rivoluzione.

 

CAP. 23 - LE RIVENDICAZIONI.

 

1. Rivoluzione e reazione sono le due parole, le due forze che dominarono il secolo decimonono. Che cosa è la Rivoluzione nella sua ultima espressione?

2. La Rivoluzione non è che la rivendicazione dei diritti sacri, naturali positivi, che furono tolti colla violenza usurpata coll’inganno, e immolando ad un tempo individuo e nazione. La reazione non esprime che il privilegio, il quale vuol continuare l’usurpazione e usufruttare a suo pro individui e nazione.

3. Cesare e Papa, Impero e Chiesa si erano divisi il mondo, anzi il cielo e la terra a loro beneplacido e vantaggio.

4. Non più nazionalità, ma masse d’uomini proni all’imperatore e un gregge di fedeli, schiavi alla chiesa: non più popoli, ma schiavi sottoposti a Cesare, e credenti che dovevano giurare sulla parola del papa; non più individuo e libertà individuale, ma la coscienza, la parola e il pensiero sottomessi alle arbitrio di Cesare e del Papa e dei loro sicari.

5. Tale è l’opera da essi per diciotto secoli preparata, consumata e imposta; nazionalità, popolo, individuo sono nulla, papa e re sono tutto, assorbiscono in sé i diritti di tutti.

6. Per contro, individuo, popolo nazioni lottano da tre secoli per rivendicare i loro diritti usurpati.

7. La Riforma cominciò col rivendicare il diritto della coscienza, il diritto dell’individuo di leggere e interpretare le Sacre Scritture secondo i dettati del proprio pensiero, e non secondo le false interpretazioni della Chiesa.

8. Lutero aveva compreso che il Cristianesimo era stato faslato nella forma, adulterato nella sostanza e nel pensiero, e gridò: - Leggete le sacre pagine, leggete la bibbia; là investigate lo spirito di Cristo.

9. Ma l’Impero e la Chiesa temevano che il popolo scoprisse la frode tessuta da quindici secoli d’inganno, combatterono la Riforma e accesero guerre che insanguinarono l’Europa per oltre due secoli.

10. La Riforma non vinta, ma impedita nella sua vita e soffocata in molte parti restò paralizzata in Europa. Allora, la questione fu posta in ben altro campo in termini più precisi e combattuta con forze vergini e rigogliose.

11. Lungi dalle violenze dei despoti d’Europa, qui, in America, fu proclamato il nuovo Diritto.

12. Non si limitava più al diritto di leggere e interpretare la Bibbia, ma si proclamavano i diritti inalienabili dell'’Uomo, i diritti, che costituiscono la forza materiale e morale dell’individuo e la sua dignità; come sono la libertà di coscienza, di pensiero, di stampa, di associazione.

13. Fu questo nuovo decalogo, che il nuovo mondo proclamava, al genere umano, e annunziava all’antico mondo. Il Sinai antico dell’Oriente fissò i grandi doveri imposti all’uomo verso Dio, la famiglia, e verso il suo prossimo. – il nuovo Sinai d’America proclamò i diritti dell’uomo a fronte de’ suoi usurpatori e tiranni.

14. Dall’America la parola rinnovatrice si diffuse in Europa, echeggiò terribile sul popolo della Francia, e questo grande popolo, sentinella avanzata dei popoli soldati o della Provvidenza, la diffuse e la condusse a trionfo pel mondo antico.

 

CAP. 24 - ANCORA LE RIVENDICAZIONI

 

1. Invano gli usurpatori vollero impedirne il cammino soffocando questa nuova forza, come avevano combattuta la riforma. Essa era penetrata nel cuore e nello spirito dei popoli; tutti sentirono che quella era come la primitiva parola redentrice.

2. E a volta a volta Francia, Germania, Belgio e Spagna la volta d’Italia e di Roma.

3. Sinora non si era proclamato, né veniva riconosciuto che il diritto individuale. Spettava all’Italia proclamare il diritto collettivo, raffermava il diritto nazionale e internazionale.

4. Questa l’opera che, iniziò l’Italia nel secolo decimonono, e che deve compiere nel secolo ventesimo, consacrandola nell’antica capitale, nella città che calpestò la nazionalità e violò i diritti dell’individuo.

5. Questa l’opera, che io ero mandato a iniziare ed affrontare, e che la violenza e la frode, contro di me inaugurate, hanno troncata e sospesa.

6. L’opera, che fu sospesa con l’immolare una vittima, mi è concesso di continuare dalla sfera degli Spiriti, parlando liberamente al tuo pensiero. E tu nota e scrivi.

7. Nota e scrivi la mia parola; diffondila prima dell’Italia, che prima mi vide nascere e mi ha conosciuto. E l’Italia la diffonderà sul rimanente del mondo.

8. Egli è dei miei pensieri, non dagli eventi effimeri della vita terrena, che io chiedo di essere giudicato; e i miei pensieri sono il vero complemento della rivoluzione, che deve raggiare e coronarsi in nome di Dio.

9. L’alta missione comincia appena.

10. Per meglio chiarirla e farla conoscere, io dovetti squarciare il velo del passato, che il tradimento e la frode avevano tessuto e infittito, alterando la verità; talchè per voi si possa riannodare il filo delle tradizioni umane e sul passato edificare, sopra le sue salde fondamenta, l’edificio dell’età novella.

11. Come sinora non avevate compreso il Passato, così molti fra voi non hanno compreso l’opera che si è compiuta innanzi a voi, in questi anni, da voi stessi; ed ora mi conviene svelare il significato del Presente.

12. E del Presente voi potrete prendere lena e norma per afforzarvi nella fede e comprendere l’ordine nuovo che sta maturando.

 

 

 

PARTE SECONDA

 

IL PRESENTE

CAP. 1 - FATALITA’ E PROVVIDENZA

 

1. Di rado i coetanei sanno comprendere la significazione dei fatti, che accadono sotto i loro sguardi e la forza ed efficacia degli eventi di cui sono spettatori o parte.

2. Chi ascende l’erta d’un’alta montagna non può misurarne la topografia, né abbracciarne nel complesso la struttura, la ramificazione e la mole.

3. Solo quanto se ne allontani alquanto, o si levi ad una sfera superiore, gli verrà fatto di misurarne la grandezza e segnarne spiccatamente le diverse forme. Così avviene degli eventi storici.

4. Chi fra voi; o mortali, nei tempi che corrono, seppe comprendere la forza degli eventi, che agitarono questa metà del secolo decimonono, e seppe scoprire il significato provvidenziale dei fatti e degli uomini, che condussero i popoli d’Italia dal frazionamento all’unità, dal servaggio all’indipendenza?

5. Tutto quanto testè avvenne nel vostro pianeta, è concepito, preparato, maturato da secoli il seme è gittato e si feconda nel silenzio. – Ora soltanto, per virtù dell’ambiente più propizio, cominciò a spezzare l’involucro che l’avvolgeva ed è uscito alla luce.

6. Nelle passate età, al profeta che si presentava innanzi alle moltitudini, solevano domandare miracoli per accertarsi ch’egli venisse da Dio.

7. Nell’epoca nostra d’incredulità e di scetticismo, non si chieggono miracoli ma fatti e fatti. Ora i fatti accadono, si succedono meravigliosi, e i sapienti dell’epoca ripetono : E’ opera del caso fu necessità scorica, fu destino.

8. Ora io vi dico che tutto nel mondo come nell’umano, domina inesorabilmente, la legge.

9. Tutto è maturato, calcolato, pesato; tutto procede secondo leggi preesistenti; tutto move entro i confini prescritti.

10. A tutto è segnata una meta imprescindibile; dal pianeta che gira entro la sua orbita in cielo, al fiotto del mare che ne flagella la sponda, al monte di ghiaccio che lento discende dall’ertezza delle Alpi giù per le morene, tutto obbedisce a leggi inflessibili.

11. E’ solo il mondo morale che avrà legge? tutto sarà in lui abbandonato al caso cieco e dovrà dipendere dalla violenza di un conquistatore, dal capriccio di un disposta; dalle frodi di un ciurmatore e dai moti disordini di moltitudini tumultuanti?

12. Solo per l’uomo, che si vanta re della creazione, non vi saranno leggi che lo guidino? Solo pel mondo storico o umano, che è pure l’ultima parola, la parola vivente della creazione, non veglia la Provvidenza?

13. L’uomo, è vero, è libero. Vasto campo è lasciato alla sua libertà per isbizzarire i suoi capricci, sfogare le sue vanità, sfoggiare le sue follie.

14. Rispetto alla Provvidenza il tempo non esiste; mille anni sono come un giorno. – L’individuo passa, regli, imperi si succedono; l’occhio della provvidenza li attende al varco, e là, come pietra che cede al proprio peso, tutta dovrà inesorabilmente arrivare.

15. Gli eventi hanno la loro logica. – Sono come altrettante anella di una vasta che si seguono, s’intrecciano, si continuano di secolo in secolo, di generazione in generazione. Ciò che ha da essere sarà. – Ed ora segui il mio pensiero, e mira come tutto si lega e si continua per secoli nela storia del mondo, di cui Italia e Roma erano divenute la molla impellente ed il centro.

 

CAP. 2 – LA NUOVA PASQUA, O IL PASSAGGIO DEL MEDIO-EVO AL SECOLO

NUOVO.

 

1. Il mondo antico si chiuse con la immagine tetra e trionfante delle due croci.

2. Nell’una fu immolato sulla vetta del Golgata l’uomo-tipo, l’uomo-umanità; Nell’altra fu immolato il popolo-principio, il popolo-nazione. Ambo crocifissi dai Romani.

3. Queste due croci, a guisa di faro sollevato sull’oceano dei tempi, dovevano dominare tutti i secoli moderni, esse non labaro di Cesare, ma faro ai popoli.

4. Esse riassumono i secoli passati, e sono simbolo vivente dell’Evangelo nuovo.

5. Cesare sopra legno della Croce del Golgota, a cui era sospeso il Cadavere di Cristo, aveva scritto: Ecce Homo. Sulla Croce del Moira, su cui immolò e trucidò un popolo, aveva stampato: Judea Subiecta.

6. L’Individui e la Nazionalità erano i due cadaveri immani immolati dalla spada di Cesare.

7. Ora il concetto, a cui mirava il Cristo vero era di rialzare l’individuo, integrandole la personalità, per rivendicare poi la personalità dei popoli e costituirli in nazione.

8. Proclamare il diritto dell’uomo come individuo, quello del popolo come nazione; ma i nemici dell’individuo e del popolo tentarono falsarne le idee, distruggerla nei fatti.

9. Questi diritti invano furono offesi e calpestati durante due mila anni dagli imperatori e dai papi.

10. Invano Cristo fu violato nella sua parola, falsato nello spirito: invano il popolo fu perseguitato e immolato sulle Croci e sui roghi in tutte le parti del mondo.

11. La verità non muore con l’individuo che si spegne; lo spirito di giustizia vive e si svolge sotto le lotte, le persecuzioni, i martiri. Finalmente nel secolo decimonono sorse e trionfò.

12. Il mondo antico si chiude con la distruzione delle nazionalità; e il vero mondo moderno, quello dell’Evangelo nuovo, si apre con la rivendicazione della nazionalità.

13. Erano state distrutte le nazionalità greche, la franca, la germana, la egizia, la siriaca? – prima si ricostruiranno le nazioni in Occidente, poscia verrà la svolta dei popoli orientali.

14. Italia e Roma furono le tremendi calcatrici ei popoli? Ed esse furono punite in ciò che hanno peccato.

15. La pena del taglione cade sulle nazioni, più ancora che sugli individui; e per diciotto secoli tutti i popoli si rovesciarono sopra Italia e Roma per punirle delle patite violenze.

16. Roma divenne preda d’ogni gente, feudo di papi e Imperatori stranieri, ludibrio del mondo, abbandonata al dispotismo teocratico e cosmopolita.

17. Italia divisa, smembrata, provincia da provincia, città da città; le sue membra sanguinose partite tra principi e re; divenne popolo senza nome, irrisa, avvilita.

18. La condanna pesò sopra di lei per circa mille cinquecento anni, sinché i popoli, già da essa calpestati, si furono rialzati; costituiti in nazioni libere, ordinate, civili; e allora, passato il pericolo di espiazione, anche per lei spuntò il giorno di redenzione.

19. Essa si rialzò; lo spirito; che ordisce i destini dei popoli, riannodò il filo e ne riempì la trama.

20. Essa aveva rinnegato il principio di nazionalità, il principio in essa e per essa risorge. Italia e Roma sono chiamate ad inaugurare l’era novella.

 

CAP. 3 - LA NUOVA ITALIA

 

1. Perocché, in verità, io ve lo dico, tutto ciò che accadde in questi ultimi anni in Italia, è che concorse alla sua liberazione, tutto era maturato e disposto ne’ consigli dell’Eterno.

2. Non dirò che quanto è accaduto sia una serie di prodigi, come si credeva nei secoli passati, ma furono eventi mossi da una mente superiore e provvidenziale.

3. Bene lo, videro già gli occhi, ma non li seppero comprendere: ora lo mira e lo comprende lo spirito; perché a lui si svela la intelligenza, da cui sono guidati individui e popoli.

4. Una volta i popoli creduloni chiedevano un segnale per riconoscere le vestigia del Divino, ora questi segnali, a chi ben comprende, non mancarono all’Italia nella sua provvida liberazione.

5. Negli stessi nomi voi potete scoprire i segni viventi del Nume. Ascoltami.

 

CAP.4 - PIO IX

 

1. Un grido di pianto e di pietà si levava da ogni parte d’Italia, che vedeva i migliori suoi figli sepolti nelle carceri di Spilbergo, nelle galere di Napoli, di Ischia, nelle fortezze di Modena e di Fenestrelle, od esuli bersagliati e profughi gettati e perseguitati in ogni parte del mondo.

2. Quel grido di pianto e di pietà fece forza al cielo, che maturava i nuovi destini d’Italia e di Roma, e fu statuito che i tempi erano venuti.

3. Il poeta, che è profeta, aveva scritto: “Non odi tu la pietà del mio pianto? “Non vedi tu la morte che ‘l combatte?”

4. Ora voi non ignorate che Pietà, nel gergo italiano ghibellino, significa Roma sacra e libera, Roma-amor; e morte è la Roma profana, il falso Cristianesimo.

5. E a quel grido, la Provvidenza inviava l’uomo, il quale, inconsapevole del suo destino, si appellava pure dalla Pietà e dal secolo decimonono: Pio IX, e doveva auspicare i fati d’Italia e dell’epoca.

6. E Pio, nei primi mesi del suo pontificato, inaugurava la Roma della pace e della concordia, liberando i carcerati politici, richiamando gli esuli e proclamando le riforme.

7. Tutta Italia rispose all’appello di Pio IX e di Roma – Le città magnanime di Palermo, Napoli, Milano, venezia, si levarono per iscuotere il giogo dei principi tiranni e dello straniero. Torino e Piemonte si armarono a guerra.

8. Tutto il popolo italiano sentì, che un nuovo spirito era passato sulla penisola, lo spirito di Dio, che innova epoche e nazioni: - Senti il Dio presente e si levò unanime al grido : “Dio lo vuole”.

9. Ai primi trionfi tennero dietro i rovesci. Pio IX aveva disertato dalla bandiera della libertà e la reazione già gavazzava, pronta, sanguinosa, sopra l’Italia nuovamente doma e incatenata.

10. Intanto un italiano con nuovi auspici e col nome di Bonaparte prendeva a reggere i destini della Francia, questa sentinella avanzata della libertà, e nel tempo stesso a’piedi delle Alpi in Italia si apriva la nuova fonte di speranza e di salute.

 

CAP. 5 – CAMILLO

 

1. Camillo si appellò il vero restauratore dell’antica Roma, dopo la disfatta dei galli; e Camillo si appellò il vero restauratore dell’unità d’Italia, il fondatore della terza Roma, la Roma del popolo.

2. E questa Roma “Per cui morio la vergine Camilla”

venne da lui altamente proclamata la futura sede d’Italia, ed egli nato pure, secondo la predizione del poeta, tra feltro e feltro, tra Alpi ed Alpi, egli nutrito di sapienza, d’amore e di virtute, fu salute di questa umile Italia.

3. Egli appoggiò l’opera sua a quella di Bonaparte.

4. Ed essi uniti mossero dalla Crimea a Magenta, a Solferino; poi, superando ogni ostacolo, Camillo associò le armi regie a quelle del popolano, baldo e forte : Garibaldi. – Così entrarono trionfanti a Marsala, a Gaeta, a Napoli.

5. Camillo consacrò con la sua parola la terza Roma. Ma a guisa di Mosè vide, salutò da lunge, dal sommo del monte, dalle Alpi la terra promessa e disparve.

6. Egli disparve, ma lo spirito era dato; e nessuno può frenare l’impeto di una bufera che imperversa, né le mosse di un popolo, quando in lui è disceso lo spirito di Dio.

 

CAP. 6 – EMANUELLO

 

1. E lo spirito di Dio era disceso nel seno del popolo italiano, e il popolo ne aveva coscienza, allorquando gridava nella ebbrezza delle sue speranze, nell’impeto delle sue insurrezioni. “ Dio lo vuole ”.

2. Anche qui il nome rivela il nume.

3. Il poeta aveva scritto nel Libro sacro d’Italia: El s’appellava in terra il sommo bene Onde viene la letizia che mi fascia.

4. El od Emanuel, si appellava l’uomo-umanità, il Dio-Uomo, che nel tramonto del mondo antico, veniva immolato sul Golgota,- Emanuel, il popolo-principio, il quale, pugnando per l’indipendenza delle nazioni, venne immolato sul Moria.

5. Ed Emanuel sarà il nome di lui, che rivendicherà in Italia il principio dell’autonomia nazionale, e dovrà riannodare il fino delle vere tradizioni nazionali e cristiane, troncate dal falso Cristianesimo.

6. Per lui l’idea vagheggiata, proclamata nell’esiglio da Giuseppe Mazzini divenne forza d’azione, e il concetto politico-religioso di Dio dovrà poscia divenire realtà.

7. Vittorio Emanuello continuò sino all’ultimo de’ suoi giorni la impresa, che Pio aveva iniziata e tradita, che Camillo aveva spinto sulla vera via, quando su sospreso dalla morte. Per lui l’Italia condotta di lotta in lotta, di fortuna in fortuna, riuscì da Novara a San Martino, da San Martino a Marsala, a Porta Pia.

8. E Pio IX dalla vetta del Vaticano fu costretto a vedere stupefatto sventolare la bandiera tricolore da Porta Popolo al Campidoglio, e per le vie della città eterna il Re-nazioni proclamato, esaltato dai nepoti dell’antico-re.

9. L’uomo è creta in mano all’artefice divino. Egli lo plasma, egli lo spezza. – Pio IX, Camillo Emanuello, Mazzini, percorsa l’orbita loro segnata, compiuto il loro cammino, tramontarono, sparirono. – E’ una età che si chiuse; un’altra sta per aprirsi.

10. La grande opera innovatrice è incominciata appena – Chi si leva ora e la compie ?

 

CAP. 7 - IL FERETRO DI UN RE

 

1. Ed io stavo in Roma e, piena la mente delle vetuose memorie e dei recenti casi, seguitava il corteo del re leale e generoso che, come colpito da subita morte, era condotto al sepolcro fra il compianto di tutto il popolo.

2. Ed io lo seguitavo penoso e confuso fra le moltitudini, lo seguivo dal Quirinale al Pantheon.

3. Lo seguivo, e sentivo da ogni lato sollevarsi come un immenso compianto sulla morte del Re, che aveva spezzato i ceppi d’Italia e l’aveva condotta -guerriera e regina- da Novara a Roma.

4. Ogni monumento, ogni sasso pareva palpitare in mezzo a quelle voci di compianto e di gloria; ma solenne e insistente una voce si levava sopra le altre, e ripeteva:

5.“L’opera è incominciata; chi sorga e la compia ?”

6.Il feretro del gran Re procedeva in mezzo a ministri, a senatori, a deputati e militari; percorrendo quelle vie, sorgeva, come viva dinnanzi a’miei occhi, tutta la storia di Roma, da Cesare ai nostri tempi.

7. Tutta quella storia era la mia storia; tutto io avevo veduto, giudicato, mediato per due mila anni; e per due mila anni, dalla morte di Cesare io non avevo assistito a si grande universale compianto di popolo sopra un re, come in quel giorno.

8. Il pianto, che si era sollevato intorno al rogo di Giulio Cesare, pianto di molti popoli congiunti in un dolore, si ripeteva più grave e più solenne intorno al feretro di Emanuello.

9.Tutti procedevano dietro il feretro, pensando al re spento; io pensavo ai nuovi destini, che rimanevano a compiersi.

10. Io pensavo, che mai Roma e Italia erano sorte a vita senza elevarsi ad una grande idea, la quale riescir doveva a salute del mondo, e che troppe volte venne traviata, delusa, pervertita.

11. Nella Magna Grecia, i Pitagorici, i filosofi avevano tentato di inaugurare l’età della scienza e della ragione, e furono immolati dai corrotti sibariti, e dai tirannici di Sicilia.

12. Quelli, rifugiatisi a Roma, volevano formarne la città della legge e della confederazione e unione dei popoli, ma essa divenne la città delle conquiste, e del sangue.

13. Roma, colla Chiesa, doveva essere la culla, il centro dell’unita divina e umana, ma il triplice tradimento pervertì la triplice verità.

14. Ed ora io sentivo una voce che ripeteva come eco, dentro il mio cuore: - L’opera è iniziata, diceva, chi si levi e la compia?. -

15. Procedendo e meditando, eravamo giunti innanzi al Pantheon il tempio maestoso, che aveva accolto tutti i Numi dei popoli antichi, er ora glorifica tutti i Santi della Chiesa Cattolica.

16. Ed io dicevo: quando verrà il giorno che esso accolga sotto le sue volte maestose anche tutti i popoli affratellati, tutte le razze pacificate e concordi!

17. Il sontuoso feretro fu deposto nel mezzo del Pantheon, sopra un piedistallo di velluto e d’oro.

18. Il canto lugubre dei morti si spandeva dal fondo dell’altare alle volte per tutto il tempio; le note gravi e meste dell’organo insiparavo un dolore solenne, mentre io sentiva ancora levarsi una voce persistente e distinta che ripeteva: “Un periodo si è chiuso; un altro sta per aprirsi – Chi si avanzi e lo compia ?

19. Ed io mi gettai genuflesso, e restai lunghe ore muto, la tra la bara del Re e la tomba di Raffaello d’Urbino, che mi sorgeva a fianco. Poi, come vinto da nuovo spirito, mi tolsi dalla chiesa ed errai a lungo per le strade della città di Roma.

20. Ed errai due giorni e due notti, combattuto da pensieri diversi, e come invocando la risposta dello spirito; infine, col turbamento nell’animo, abbandonai la città eterna; errai alquanto per la campagna romana, pei monti della Sabina, sinché giunsi al paese mio come mi stimolava lo spirito, che mi aveva penetrato, e mi chiusi nell’eremitaggio del Monte Amiato.

 

CAP. 8 - SOLITUDINE

 

1. In questa lunga solitudine, io non mi trovavo mai solo; strane e misteriose visioni agitavano la mia mente. Erano le visioni del passato, il presentimento, che porto incancellabile dentro di me, dell’avvenire.

2. Tutto un passato lontano si stendeva dinanzi al pensiero – ma non erano pure memorie storiche, erano come realtà; non erano eventi a me stranieri, ma io viveva in mezzo ad essi ed essi vivevano identificati in me; ne sentiva le angosce, le letizie, gli sconforti e le speranze.

3. Tutte le vicende del mondo orientale, tutta quella storia meravigliosa, di cui Roma era stata il centro, passava e ripassava dinanzi a’ miei occhi. Ed io partecipavo del dolore di tutti i popoli, delle sventure di tutti gli oppressi, pativa dei loro patimenti, piangeva con essi, con essi sperava.

4. Io vedevo ancora Cristo spirante sulla Croce, e udiva le ineffabili dolcezze della sua parola che era consolazione e comando, dicendo: “Tu vivrai ancora, lotta e soffri e spera.”

5. Io sentiva il suo afflato passare sopra di me; e mentre spesso, sotto la scure del carnefice, tra le torture dei sicari, il mio corpo cadeva dissanguato, esausto, inanimato, il suo spirito mi richiamava alla vita.

6. Moriva per rinascere; rinasceva per ispegnermi, e, rinascendo, il mio posto era sempre tra gli afflitti, la mia parte tra i diseredati e i vinti.

7. Assistetti così al triplice tradimento di Costantino, e perché mi levai contro di lui, protestando del concilio di Nicea e nel Collegio dei Sacerdoti, fui colpito dal ferro dei sicari e caddi spento.

8. Rinacqui a volta a volta, in mezzo ai furori delle orde barbariche, agli eccidi forsennati delle crociate, sbattuto di fazione in fazione, nelle guerre tra Chiesa e Impero e poscia inviso, e perseguitato da tutti nelle guerre religiose.

9. E portava in me le stimmate di tutte le torture, le vestigia di tutti gli oltraggi, di tutti i dolori dei popoli.

10. E rammentavo le storie de’ miei padri, i quali mi narravano come, fuggendo dalle ire e dalle insidie della lupa romana, si erano riparati nella vicina Toscana, e poi nascosti tra le solitudini delle rupi insospiti del Monte Amiato.

11. E, unico talismano e segno delle antiche grandezze e delle sventure, avevano serbato il nome di Davide e il nome Lazzaro che per meglio celarsi mutarono in quello di Lazzaretti.

12. Nomi che compendiano un mondo di eventi, e quasi tutto il mondo storico.

13. Nomi che associavano la reggia all’officina, l’letto ai diseredati, la corona del pensiero e della poesia a quella del lavoro e del martirio, l’arpa e il maglio e la squadra.

14. Tutte queste immagini mi attraversavano la mente; io sentiva, presentiva, senza comprendere. Solo dopo la mia morte potei spiegarmi il segreto della vita.

15. Perocché l’uomo che pensa per l’umanità, che vive e soffre per l’umanità, che s’affida nel suo Dio, non muore mai.

16. Come si trasfondono nei figli i sensi, le attitudini degli avi, così le memorie, le impressioni, i pensieri, e le speranze imperiture.

17. Nulla è isolato nella natura e nulla è isolato nella vita; la vita vive nella vita universale. I padri rivivono nei figli; il passato rinasce nel presente, e le grandi immagini degli eventi cessati non possono essere cancellate; si continuano come cerchi d’onde agitate nel mare.

18. Io viveva nel passato e cercavo la parola dell’avvenire – e sempre sentiva risuonare al mio orecchio le parole udite a Roma, sotto le volte del Pantheon. “ Un’età si chiude; un’altra sta per aprirsi. Chi s’avvanzi, la comprenda, la compia?”

19. Dopo sette giorni di solitudine, sentii il bisogno di ritornare agli amici, alla famiglia. Povero contadino, presi ad arare il mio campo, a guidare la mia carretta, per vivere col sudore della mia fronte e ricondurre il mio carro ai viaggi usati; ma allora immagini più strane e visioni più insistenti cominciarono, con manifesti segni, ad indicarmi il cammino che io doveva percorrere, e il carro che doveva condurre.

 

CAP. 9 – VISIONE E MISSIONE

 

1. Un giorno, povero birocciaio, guidavo il mio veicolo su per l’erta del monte Amiato.

2. Il cumulo delle antiche memorie mi pesava faticoso e molesto sul cuore, e mille pensieri mi si agitavano nella commessa fantasia.

3. Ed atterrito io mi chiedeva. – Chi sono io ? Quale il mio destino? Che è mai questo mondo arcano, che si agita dentro di me? E perché in tutto che vedo e sento non trovo né riscontro, né sazietà, né pace?

4. Così procedeva pensieroso su per l’alto monte; il paese e la campagna si stendevano al mio sguardo sempre più vasti e maestosi.

5. Era la primavera; l’aria limpida, il cielo sereno, la natura piena di segreta esultanza, come fanciulla alla vigilia di nozze anelate.

6. I diversi profumi della campagna salivano a me dalle vallate; la natura tesseva nel segreto delle sue latébre, il sottile stame delle erbe e dei fiori, preparava il succo alimentatore delle piante, che dalle viscere del suolo si rizzavano a bearsi di aria e di luce. – Il germe occulto preparato nella rigidezza del verno, si espandeva rigoglioso sotto la pienezza del sole di primavera.

7. Il seme, dianzi sepolto nella terra, stretto dal gelo, diveniva leggiadra viola, che odora, garofano che sorride, rosa che si china avida di voluttà e di carezze, albero che si solleva in alto, messe biondeggiante, che porta la gioia e la sazietà sul desco del povero e del ricco.

8. Tutto questo è buono, utile e bello si matura nel silenzio, per aprirsi nel giorno assegnato alla letizia della luce.

9. Tutto era intorno a me lavoro indefesso della natura, nei misteri della terra ed nelle correnti dell’aria e della luce continuava a fecondarsi, come conscia della meta imposta a ogni germe, dallo scopo a cui ogni creatura deve riuscire.

10. Ma quale, io dicevo a me stesso, è il lavoro che si continua nell’essere mio? Chi ne conduce le fila? A che ciò ? E dove riescirà ?.

11. Qui tutto sorride, si rinnova, si ravviva; è la primavera della natura. E quando la reale e durevole primavera per l’individuo che soffre, pel popolo che geme ?

12. Come in questa terra, come in queste correnti dell’aria, così furono deposti nel seno dell’umanità mille semi, che si chiamano idee, aspirazioni, dolori, speranze; ma sinora furono calpestati, svelti, o soffocati nel fango. Quando sarà che lo spirito fecondatore si diffonda su di essi e, la luce li animi, si che si aprano nell’orgoglio de’ loro germogli, esultino nella vita?

13. Ogni anno riconduce con sé la primavera; e quando la primavera pei figlioli dell’uomo?

14. Io avevo appena pronunziato queste parole, che vidi rizzarsi dinanzi a me, come una figura luminosa.

15. Né i miei occhi avrebbero potuto riconoscerla, se le sua forme, come riverbero di più specchi sfolgoranti, non si fossero stampate innanzi a me, sopra il terreno inondato dal sole.

16. Il mio cavallo si arrestò impaurito, ed io discesi dal carro e caddi geniflesso al suolo.

17. Allora udii nell’aria una voce, che non era nuova né ignota al mio spirito, ed ogni sua parola si stampò nel fondo del mio cuore.

18. “La primavera che invochi, essa disse, si avanza; l’aprile dei popoli è sorto, la nuova pasqua del genere umano sta per levarsi.

19. “ Il germe deposto sul terreno, maturato nel silenzio, innaffiato dal sudore del povero, dal sangue dei martiri, si aprirà alla luce. Oggi l’aprile, domani l’estate che matura il frutto, infine l’autunno che raccoglie e prepara la primavera eterna.

20.“Dopo la indipendenza e l’unità politica, la coscienza di sé la scienza del vero, l’abbominio dell’errore, la giustizia sociale.

21. “E tu, smetti di condurre il carro e la giumenta; divieni conduttore d’uomini.

22. Simile a Davide, stipite della tua famiglia, armati della fionda della parola, percuoti il gigante della violenza, del monopolio, della frode. Affronta le persecuzioni, il disprezzo, la morte. Imperocché che cosa è la morte se diventa principio di vita ?”

23. Ma io – ripresi – chi sono ? Che posso ?

24. “Nulla tu puoi per te, ma tutto col pensiero che ti illumina, per la passione che ti accende d’amore per chi soffre e lavora, tutto pel divino potere che ti move e guida.

25. “I tempi sono maturi, la messe biondeggia, i mietitori si raccolgono a bande e levano il canto di raccolto al genere umano – Va, lascia il cavallo, guida gli uomini.”

26. Ma dove andrò? – richiesi.

27. “Dove vi ha un popolo che si agiti, un uomo che soffra, una gente che germa oppressa, un essere che aspiri all’alto. – Va, studia ogni dolore, ti accuora d’ogni gemito, conforta, riordina, illumina e solleva.”

28. Disse – e col raggio infuocato impresse sulla mia fronte un nuovo segno sopra quello che Cristo vi aveva stampato, scuotendomi dal sepolcro.

29. Fu il segno della vita, il segno della morte, il segno dell’eternità.

 

 

30. L’apparire, il favellare, l’atto furono come un baleno, e come baleno tutto disparve.

31. Io rimasi solo sul monte Amiato; Mi sentii come trasfigurato più umile ad un tempo e più grande, deserto dagli uomini e pieno di Dio.

32. Disciolte le redini al mio cavallo, “Va tu pure dissi, vaga libero pei campi. Nuove forze cieche sono scoperte e deste per servire all’uomo; tu, forza intelligente, arbitro di te stesso, scorri pei monti, pasci per le valli, non più servo, ma ausilio compagno, amico all’uomo.”

33. E il cavallo, quasi comprendesse il mio parlare, posò la testa sopra le mie spalle, e mi sfiorò carezzevole il volto; io lo baciai nel mezzo della fronte. – E mi rivolse un guardo lungo, intelligente e, allontanandosi mestamente, si dileguò nel folto della boscaglia.

34. Allora io vidi, alla mia destra, un bastone che, a poco a poco, pareva spuntare dal profondo del suolo. – Io lo afferrai, lo spiccai. – Tu, dissi, sei ora il mio appoggio, il mio compagno, la mia guida.

35. Calai nel paese; mi accomiatai dalla moglie, dai parenti, dagli amici e, afferrato il bastone del pellegrino, mi feci a percorrere l’Italia e l’Europa.

 

CAP. 10 - IL PELLEGRINAGGIO DI LAZZARO

 

1. Cristo, per sottrarsi alle persecuzioni di Erode e di Cesare, cercò rifugio in Egitto; io lasciai Arcidosso e Monte Labro per studiare i dolori del popolo e vivere della vita dell’operaio di tutta Europa.

2. Perocché conviene soffrire con chi soffre, tastarne le piaghe, inoculare in sé come il vaccino del morbo morale ed economico, per incoprire i mezzi di salute.

3. Presi le mosse dall’Italia, e, pedestre, la percorsi tutta per terra, all’uno all’altro estremo.

4. Spesso la vaporiera trapassava, fischiando al mio fianco; pompose vetture, tirate da superbi cavalli, mi correvano innanzi; ed io appoggiato sul mio bastone; misurava città per città, palmo per palmo le terre d’Italia.

5. Percorrendo le campagne, mi arrestai a favellare col contadino, che con lenti buoi apriva i solchi, col pecoraio che spingeva la greggia nell’agro romano, nei monti della Sabina e degli Abruzzi mi, arrampicai su per le roccie, dove il montanaro scava la sua dimora nelle grotte e nelle forre; visitai le superbe vette apennine, come le basse maremme desolate.

6. Contadino col contadino, operaio coll’operaio, calai, nella Sicilia, in Toscana, in Romagna, entro le miniere di zolfo, di carbone, di ferro; penetrai col minatore entro le viscere della terra, seco divisi i più ardui lavori; passai le lunghe notti sul mare col pescatore a tendere le reti, a pescare il corallo.

7. Fui rotto ad ogni mestiere; ed entrando nella città mutavo tenore di vita.

8. Quivi, divenendo a volta a volta, domestico, famiglio, per penetrare nelle dimore dei patrizi, o riprendendo il mio mestiere di auriga, per conoscere i costumi del ricco, mi insinuavo in ogni meandro della vita cittadina. E così mi introdussi, sotto le più svariate vesti e foggie, nel gabinetto del diplomatico, nello studio dell’avvocato, del giornalista, nelle sacrestie e chiese, nelle officine, dappertutto dove si lavora, si ozia, si prega, si bestemmia, si ride, si cospira.

9. Campava la vita col lavoro delle mie mani; ma talora, privo di mezzi, dormivo all’aperto, nelle piazze, negli atrii dei palazzi, sotto le arcate delle chiese – e spesso sorpreso dalla notte lungo il cammino, mi ricoverava sotto gli alberi o dormivo sulla spiaggia del mare.

10. Nulla mi riusciva di maggiore istruzione che udire la sera nelle campagne, o sulle piazze della città, i ragionamenti del popolo, le voci di dolore, di piacere, le aspirazioni e i desideri, voti, che nel silenzio della natura, prorompevano dal petto umano.

11. Io osservavo, meditavo i vizii e le virtù d’ogni classe, per meglio conoscere il mio paese, nel profondo delle coscienze, e così derivare dalla tendenza generale la segreta parola, che potesse ritemprare le menti a vita più gagliarda, mitigare le sofferenze, e imporre ordini più equi ai sociali consorzii.

12. Nelle ricche campagne lombarde vedeva i contadini rosi dalla pellagra e dagli stenti, mentre i possidenti guazzavano nell’abbondanza e oziavano nella città: nel Piemonte salutai un popolo baldanzoso e forte, il quale, se non volge a corruzione, o non si ferma ebro e oblioso nel successo, potrà ancora nella vita italiana rinnovare le sorti morali, come ne rinnovò le politiche.

13. E ciò sarà quando alla gagliarda del lavoro sappia accoppiare elevate aspirazioni, senza cui deboli e inefficaci riescono gli ordini politici.

14. Valicai le Alpi e, pedestre sempre, percorsi la Francia, l’Inghilterra, l’Olanda la Germania.

15. Ivi pure conobbi i contadini, gli operai, i poveri, gli umili, con essi lavorai e soffrii delle sofferenze loro.

16. A meglio comprendere i bisogni di ogni classe e scrutare la parola dell’avvenire, mi insinuai nelle diverse associazioni, delle quali è ormai piena l’Europa; sia a quelle che si afferrano al passato e si sforzano di conservarlo e consolidarlo, sia a quelle che minano e scrollano l’edificio del presente, cospirano contro tutti, per accumulare macerie sopra macerie, rovine sopra rovine, cupidi di annientamento.

17. In nessuno di questi paesi io mi sentivo straniero; anzi in mezzo a tanta varietà di costumi e d’uomini mi sembrava che uno spirito solo cominciasse a commuovere, agitare, dall’uno all’altro estremo, i popoli d’Europa.

18. Talora mi trovai con alcuni, a cui pareva fossi affratellato da secoli, fossi stato da secoli in comunione di dolori, di fatiche di speranze.

19. Trovai migliaia di Lazzari sul mio cammino e noi sentivamo che sotto i nostri rozzi panni palpitava uno stesso cuore.

20. Legittimisti, repubblicani, conservatori, riformatori, clericali, socialisti, cattolici, protestanti, tutti conobbi, e di tutti studiai le idee, le tendenze e le speranze.

21. Anzi percorrendo la Germania, il destino condusse su’ miei passi un uomo energico, che al pari di me, correva la terra per istudiare il secolo.

22. Ci guardammo appena, ci riconoscemmo fratelli, figli d’una stessa famiglia, mossi dalle stesse speranze.

23. Da secoli i nostri spiriti avevano lottato contro il mondo della violenza e della frode.

24. Egli pure discendeva dai Lazzari, e il suo nome suonava col mio; solo, travisato e corrotto tra i popoli del nord, da Lazzaro suona Lazal.

25. Una stessa fede nei destini sociali ci aveva uniti nella vita dei secoli, e ora nel secolo decimonono noi doveva unire una morte istessa.

26. Lui colpì nel cuore una palla fraticida; me nel mezzo della fronte.

 

CAP. 11 – IL RITORNO DI LAZZARO IN ITALIA

 

1. Dopo aver percorsa la Germania e l’Austria, valicando le Alpi ritornai in Italia; visitai Venezia, le Romagne, le Marche, finalmente mi ridussi di nuovo al mio paese in Toscana, deliberando di rivedere i parenti, gli amici e i miei discepoli e seguaci di Arcidosso e Monte Labro.

2. Uscito da quell’oceano agitato da tanti flutti contrarii, che è l’Europa, sentiva il bisogno di quiete e di solitudine.

3. Mi ritirai prima del mio eremitaggio del monte Labro, ma quivi accorrevano da ogni parte discepoli, amici, adepti, che io cercavo di educare alle speranze viventi nel mio cuore.

4. Ma la moltitudine di gente che si affollava intorno al mio eremitraggio non mi consentiva di aprirmi a me stesso, di indagare la parola di Dio.

5. E la parola di Dio m’impose di recarmi all’isola di Montecristo, a breve distanza da Orbetello.

6. Partii per l’isola, all’insaputa di tutti, tranne di due amici e discepoli, che vollero accompagnarmi, Raffaello e Giuseppe Vicchi.

7. Approdato nell’isola, li pregai di lasciarmi a me stesso, e quelli ritornarono al paese.

8. Ivi, diviso dal mondo, con l’infinità del mare dinanzi a me, e l’infinità del cielo sopra il mio capo, ebbi visioni e udii voci, che cominciarono a darmi maggiore contezza del mandato imposto alla mia vita.

9. Ero solo, ma tutto un mondo di popolo si agitava nella mia mente, come le onde del mare, che flagellavano gli scogli sotto i miei piedi.

10. Chiuso in una spelonca, passai quaranta giorni e quaranta notti in contemplazioni, in preghiere.

11. Io ripensavo, raccolto in me, tutti i mali che ne’miei viaggi, si erano svelati al mio sguardo, chiedevo a Dio il rimedio per guarire la afflitta umanità; e dicevo a me stesso:

12. Che cos’è questa Europa? Come posso io sciogliere il problema che agita ogni classe d’uomini, dall’operaio al monarca?

13. Qualche volta mi toglievo dalla solitudine e mi gettavo a nuovi viaggi, per meglio studiare ancora le piaghe del corpo sociale; poi tornavo nella solitudine, per meditare nuovamente il terribile problema che la Sfinge sociale gettava innanzi a me.

 

CAP. 12 – CHE COS’E’ L’EUROPA – APPARENZA

 

1. Che cos’è cotesta Europa, nel cui seno vedemmo accumularsi tutti i problemi che, da cento secoli, l’umanità agita e matura? Questa Europa , dove si avvicendono, si confondono tutti i vizii, tutte le virtù, tutte le verità e le menzogne, le tradizioni fantastiche e le storie vere, e dove furono accolti, adorati tutti i Numi, e tutti declinarono e sparirono?

2. Che cos’è questa Europa? A chi la osservi alla superficie sembrerà la regione più civile, più colta, più gloriosa, più fiorente che il sole abbia mai rischiarata; a chi ascolti i suoi vanti, essa grandeggia in mezzo all’orbe, essa potente, essa ricca, essa libera, essa miracolo di civiltà, luce dell’universo.

3.Vaste strade l’attraversano dall’uno all’altro estremo; dal Tirreno al Baltico, dall’Irlanda alla Siberia. Ormai l’uomo più non viaggia, vola, e le linee interminabili della ferrovia formarono de’ suoi popoli quasi un popolo solo.

4. Invano le irte montagne divisero popolo da popolo; invano gli oceani aprirono abissi innanzi a’ suoi passi, dicendo: Non più oltre innanzi. Essa col vapore e con l’elettrico trionfò della natura e dello spazio.

5. Ed ora ogni regione va raccogliendosi in nazionalità; ogni nazione, libera delle antiche tirannie, consapevole dai propri diritti, sceglie il governo che meglio corrisponde a’suoi interessi, e si raggruppa ordinata intorno alla sua capitale.

6. L’intera Francia intorno a Parigi, l’Inghilterra e le cento sue colonie sparse in tutte le parti del mondo, intorno a Londra, capitale dell’Universo; la Germania intorno a Berlino; i popoli Danubiani si raccoglieranno presto o tardi intorno a Vienna, come gli italici intorno a Roma e i popoli dell’Europa orientale intorno a Pietroburgo.

7. Le capitali soverchiano di venustà, di ricchezza di splendore tutte le metropoli, che abbiano vantate le antiche civiltà dell’Oriente e dell’Occidente; Ninive, Tebe, Palmira, Babele, Atene e Roma stessa sono ecclissate dalle grandezze di Parigi, Londra, Vienna, Berlino e Pietroburgo.

8. In ogni capitale miri templi, che si elevano grandiosi in mezzo a marmorei palazzi; vedi strade ampie, popolose, monumenti, che sfidano il tempo; vedi fiori, teatri, splendidi ritrovi, giardini fiorenti, tesori d’arte e d’industria raccolti ne’ musei nelle officine, nei grandi emporii del commercio. Penetri nei docks, ove si accumulano i prodotti, i tesori di ogni parte del mondo, e che le navi europee vanno distribuendo secondo il bisogno ad ogni nazione e città.

9. Vedi atenei dove si trovano raccolte le scienze di tutti i secoli; laboratorii dove nel lambicco della chimica sono analizzati i quattro regni della natura, e alla natura si strappano ad ogni tratto nuovi segreti; osservatorii dove si numerano, si misurano i pianeti; dove si sorprendono, negli ultimi loro confini, i misteri dell’infinito, e si assiste al mondo come si generano i luminari del mondo, come declinano a loro volta, e muoiono al pari dei figli della terra.

10. L’industria è il suo apogeo, e la società, con la sua cupidigia di godimenti, con la sua libidine di lusso non giunge a consumare quanto produce.

11. Imperocché dal vapore, che centuplica le potenze umane, all’elettrico, che vola rapido come il pensiero, dall’aria al fuoco, al mondo animale e sotterraneo, tutte le forze della natura vennero sottoposte alla sua potenza, governata e avvinta sotto la mano dell’uomo, il quale, le domina, le ordina e loro impone modo, movimento, ordine, direzione e misura.

12. Sovrano e arbitro della natura, il pensiero umano ha sorpreso, nei profondi penetrali geologici, la terra nelle sue origini; ha seguito il pianeta in orme del suo lento svolgimento fra gli oceani delle nebulose; ha sottoposte, con la scienza, le forze cieche e prescritta una direzione agli elementi scomposti e inconsapevoli.

13. L’arte eguaglia in perfezione la natura, la supera nell’armonia dei suoni e delle forme; l’industria aumenta i suoi prodotti; la scienza ha ormai strappato l’ultima benda, che suggellava il labbro della Sfinge.

14. E l’Europa, superba delle sue conquiste sulla natura, abbattendo i templi antichi, e rinnegando tutti i Numi, solleva la mano al cielo, e grida : “Io sono l’umanità : io sono Iddio!”

 

CAP. 13 – CHE COSA E’ L’EUROPA? – REALTA’

 

1. Oh, questi vanti mi sono noti da secoli! è questo il grido dei despoti, quando sono giunti al colmo della loro potenza; è il vanto degli imperi, quando sono, o si credono all’apogeo della gloria.

2. E’ questa la eterna parabola della torre di Babele; altri millantava dare la scalata al cielo, e rovinò nell’abisso.

3. Fu questo il grido di Ninive, di Tebe, di Palmira, delle vaste metropoli dell’Asia, le quali avevano raccolti e assorbiti tutti i tesori del mondo. Ma un giorno viddero alzarsi il deserto, che le ravvolse nelle sue sabbie vorticose, e fu il lenzuolo di morte ove da secoli esse giacciono sepolte

4.Fu il grido bestiale di Nabucco, e fu convertito in fiera, che pascolava nei campi; fu il vanto dei Cesari, che imponevano ai popoli le apotéosi, e si facevano adorare Numi immortali; miserabili insetti! Scavarono una tomba immensa a sé, e a Roma.

5. Oh scrostiamo l’orpello di cotesta civiltà, che crede, nel suo orgoglio, di aver innalzato un trono al disopra dell’Eterno, anzi nega Dio e proclama sé divina.

6. Ora, chi cerca oltre l’orpello, e vuole discoprire a nudo la realtà? Che cos’è codesta Europa?

7. Le sue pompe, velano miserie; l’opulenza nasconde la putredine e i cenci; la poca scienza, dissimula l’ignoranza sconfinata come i suoi errori, come le sue colpe.

8. Essa grida ai venti che tutto sa, tutto scopri, tutto abbraccia e comprende. Domandate che cosa è l’uomo? L’ignora. Donde venne, dove va? l’ignora. Che cos’è questa materia, questa energia interna che move, pensa, sente? e non risponde, che parole vuote, assurdi sofismi, insacca vento. La sua scienza? Tutto dissolve, ma è impotente a mettere insieme un vegetale, a dar vita ad un verme, ad un mollusco, osserva il fenomeno, si arresta al fatto, e il fenomeno passa, si dissolve, nulla ha compreso; stilla nel lambicco la vita, per comprendere la vita, e non gli rimane che spuma, scorie, essa tenta arrestare anche le ombre, che passano e ripassano entro lo specchio della natura, spingersi ad afferrarle, non stringe che vento.

9. Si strugge per affermare un solo velo vero, per afferrare Proteo, crede di averlo incatenato, e Proteo si trasforma, e rompe in uno scroscio il rico, e di scherno.

10.Non seppe arrestare la mente in un solo vero; tutto, dice, è dubbio, perché nulla comprende. Talchè disperando, di tutto, tutto ignorando, fece Dio l’inconsapevole.

11. Gli antichi dissero: luce, sapienza è Dio. Ed essa dice: Dio è l’inconscio, l’equivoco, le tenebre.

12. Ciò nell’ordine ideale. Tale la mente, tale la sapienza di codesto nuovo Iddio, di questa Europa divinizzata; se tale nell’ordine ideale, quale si mostra essa nella realtà.

13. Colle ferrovie essa superò, è vero, le grandi distanze e avvicinò i popoli. Ma a che è riuscita? Ad accumularne i vizii e le colpe e le miserie; li affratellò, ma nelle invidie, negli stenti, nelle ire, nell’odio.

14. Disse d’aver abolita la schiavitù, proclamata la libertà, e una triplice schiavitù pesa sopra le masse calpestate: la schiavitù della miseria, della fame; la schiavitù del vizio, della cupidigia, che genera la colpa, la schiavitù dell’ignoranza, della superstizione e dell’errore.

15.Le metropoli pompose si vantano civili; e la barbarie non è più alla frontiera, respinta, rilegata al confine come nell’impero romano, ma batte alle loro porte, invade le loro case, percorre le loro provincie, urla nei tuguri affamati e invoca vendetta, sangue e distruzione.

16. L’Europa parla d’uguaglianza, vanta di aver atterrate le castella feudali, scossi i troni, rovesciati gli altari. E la baldanza dei nuovi ricchi insulta ai poveri, i forti schiacciano i deboli; il contadino è condannato a fecondare il campo non suo; l’operaio è oppresso nelle officine, e l’uomo è una macchina in balia di pochi, che a capriccio la muovono, la manomettono, la spezzano.

17. Si vanta libera; ha abbattuto e, monarchie, patriziati, sacerdotizii e Dio; ma ha sostituito a tutti un piccolo desposta in ogni borgo, un nuovo ricco ignorante in ogni palazzo; ai sacerdoti di Dio, il gendarme, il fisco, la polizia. L’uomo è libero, libero di commettere il male, perocchè esso ha rotto il freno alla coscienza. Godere, ecco la legge, il culto, i profeti, arricchire è unico scopo della sua vita.

18. Parla di fraternità di popoli, di concordia e di pace, e tutti armano, e i popoli si abborrono a vicenda.

19. Il Tedesco, nel centro d’Europa, fonda i cannoni Krupp contro i suoi cari vicini, contro il Francese, il Russo e lo Slavo; il Francese arrota la spada, ordina i suoi battaglioni contro il Tedesco; l’Inglese calpesta l’Irlandese; questi giura vendetta e morte al Britannico. Il Polacco cospira contro il Russo contro la Germania, il Turco è contro il mondo intero. L’Italia mira sospettosa alla Francia e all’Austria; L’Austria agogna all’antica preda in Italia, e stende la mano sui popoli della penisola balcanica, che si agitano nel vuoto.

20.Gli odi e i furori nazionali sono avvelenati dagli odii di razza; il Franco contro il Germano; questi contro lo Slavo, lo Slavo contro gli Ungheresi; Gli Ungheresi contro Boemi e Rumeni, e tutti si esaltano in odio speciale.

21. La guerra ora muta e sorda, ora aperta, prorompente di nazione, contro nazione, di razza contro razza, è rinfocolata in ogni provincia, in ogni città, dalle ire forsennate di classe contro classe, di sesso contro sesso, di età contro età.

22. L’operaio odia per lo più il padrone come usurpatore, il contadino odia il proprietario senza pietà; il povero è contro il ricco, il lavoro contro il capitale, il capitale impinguato si ritira diffidente dall'industria e si chiude nell’egoismo; le masse indigenti insorgono, domandano pane e minacciano la distruzione. Esse con le braccia poderose crollano, pari a Sansone, le colonne della Società, per rimanere poscia esse le prime schiacciate sotto le rovine.

23. Si parla d’amore e di famiglia; ma il padre non ha più autorità sul figliuolo, questi appena adulto cospira contro il padre, rompendo ogni freno di disciplina. Il matrimonio è un mercimonio, e la donna si vende per cupidigia di fasto e libidine di piacere; dappertutto predomina il traffico, la boria del lusso, la vanità, il nulla.

24. Uomini, donne, adulti, fanciulli, parlano d’emancipazione, nessuno di devozione, né di dovere; tutti di godimento, nessuno d’abnegazione e di carità.

25. L’Europa ha accumulato ricchezze sterminate; ma, a fianco dei ricchi sfondati, trovi miserie senza termini; conti in ricco sopra cento i quali lottano contro la fame; le masse affamate emigrano in lontani paesi, seminando spesso delle loro ossa i piani incolti dell’Africa e dell’America. E molti, che non emigrano, muoiono di stenti negli ospedali, o marciscono nelle prigioni, nelle galere, ultimo vanto asilo di rifugio all’europa civile.

26. L’industria centuplica le sue produzioni, e le grandi produzioni generano il monopolio di pochi, la miseria di molti. Tace la guerra, non si sguaina la spada, ma arde accesa sempre la guerra della concorrenza, guerra sorda, di rancori, tra classe e classe, tra mestiere e mestiere, che copre sotto le ceneri accese la guerra civile, la guerra in permanenza.

27. I popoli dell’Europa, che si dicono cristiani, sono al disotto dei pagani, Cattolici e protestanti non adorano del Cristo che la carne crocifissa, lo divorano ogni giorno coll’ostia consacrata; adorano della Bibbia la parola morta, e non sono che materia e senso.

28. La coscienza umana e divina è ormai parola vuota; la materia chiama la materia, come l’abisso l’abisso. Unica meta, che l’individuo, uomo o donna, propone a sé il godimento. Unica voce che imperi è quella dell’epa, unica speranza, al di là della vita, il nulla.

29. L’anarchia, la spogliazione, il nulla, ecco il triplice mostro che minaccia questa infiacchita, ma orgogliosa Europa; ed il mostro spia e attende l’ora propizia per irrompere dal di fuori, come Attila, o Genegis Han, e agitare la face della distruzione per le metropoli d’Europa.

30.Esso mina sordamente le reggie, scalza nel silenzio le dimore dei ricchi, guata insidioso ai vacui Parlamenti, sinché sorgendo in vista gigante e spaventevole, armato l’una mano di falce e nell’altra il petrolio, getta un urlo per annunziare l’ultimo giorno all’occidente, come già ha urlato; Guai a voi, o popoli d’Oriente!

31. Se presto non si provvede, entro San Pietro si anniderà il lupo, il gufo, l’orso, la lupa si sdraieranno satolli di sangue nella cattedrale di Colonia, e nelle aule delle Tuilleries di Parigi.

 

CAP. 14 – SOLITUDINE - PROBLEMA

 

1. Questi diversi aspetti delle grandezze e delle miserie di Occidente passavano e ripassavano nel mio spirito, e popolavano di strani fantasmi la mia solitudine.

2. Dopo molti giorni trascorsi nell’isola, riprendeva il mio bastone di pellegrino, e per più mesi errava in una parte e nell’altra dell’Italia e della Francia, di Germania per sempre meglio studiare il vero.

3.Poi mi chiudeva ancora alle solitudini di Monte Cristo, o nel mio eremitaggio di Monte Labro.

4. Io avevo gettato lo scandaglio nell’oceano dei popoli; io avevo tutto cercato, e colle mie esperienze tentava di farmi criterio del vero, e preparare nel presente un rimedio al futuro.

5. Quali le cause dominanti che condussero alle attuali condizioni? Quale il principio a cui scaturì lo stato presente, nel bene come nel male?

6. L’Europa è superba della sua civiltà antica, ma la civiltà comincia appena, ella è ancora la barbarie di ieri che tenta soffocare il germe salutare che cominciava appena a fiorire.

7. Abbondano in Europa gli uomini di alto cuore e di vasto sapere; ma essi credono che il problema economico sia tutto, mentre l’economico non è in gran parte che dipendente dal morale. E’ lo spirito che plasma il corpo, non il corpo che forma lo spirito.

8. Ora da secoli in Europa l’elemento morale non è più che orpello, ipocrisia e menzogna.

9. Il falso Cristianesimo si è sostituito al vero; esso domina nel prete cattolico, come nell’evangelico, nel Vaticano a Roma, come in San Paolo a Londra; è questo il vero cancro che rode l’Europa. Il falso sostituito al vero la gramigna al grano buono.

10. La Chiesa di Roma fu fondata, non da S. Pietro, ma da Costantino e dai Cesari, sopra la violenza, l’equivoco e la morte; e così generò il servaggio, l’errore, l’annientamento fisico e morale.

11.Si levò, con Calvino e Lutero, la riforma e, mentre adottò l’errore e l’assurdo per base, diceva all’uomo : “pensate e credete; ciascuno porta in sé la grazia e la fede per redimerlo”.

12. E l’uomo quando cominciò a pensare, scoprì le contraddizioni e l’assurdo. Cessò dal credere, e così con la fede si eclissò la Grazia.

13. Allora, sospinto giù sulla via del dubbio, di grado in grado giunse, all’incredulità, dall’incredulità all’ateismo, dall’ateismo alla brutalità, ed ora scende, scende ancora giù per la stessa china vertiginosa nel cui fondo stanno l’anarchia, la dissoluzione, la putredine e il nulla.

14. Mentre si sfasciava, pietra per pietra, l’edificio divino e morale, si innalzava e si inaugurava il trionfo della materialità. Godiamo; è lo scopo della vita; godiamo oggi, domani si muore.

15. Alla superficie prosperità, ricchezza, scienza, progresso; al fondo sofferenza; miseria, dubbio, spossatezza, vacuità e fastidio.

16. L’ultimo suo grido, ora che ha esaurito ogni piacere, libata ogni voluttà, l’ultimo suo irrisorio accento è questo: Tutto è male, il pessimismo regna in cielo e in terra.

17. Si volle educare il popolo, e nudrirono le masse di sofismi.Si volle coprire la nudità degli uomini, e ai loro cenci sudati, si sostituì la camicia di Nesso,

che avvelena e abbrucia le carni; esso volle impartire la dottrina al popolo, e glisi propinò il veleno; si volle estinguere la sua sete, e lo si ubbriacò di assenzio e divenne briaco, ebete o brutale.

18. Si pensò ai sensi e si distrusse il sentimento il divino.

19. Forse – io dicevo a me stesso – egli è fatale che si scenda fino all’ultimo gradino dell’orrore, perché atterrito dell’abisso che si apre sotto a’ suoi piedi, l’uomo si arresti e cerchi uno scampo al pericolo; forse è provvidenza, che intero si vuoti il calice del male, perché l’uomo, nauseato, ne senta abborrimento e ricerchi il bene.

20. Ma il bene, come ritrovarlo? il vero come infonderlo nuovamente nel cuore degli uomini?

21. Conviene uscire dall’equivoco, entrare nella sincerità; lasciare il falso orpello e cercare il metallo puro; abbandonare i sofismi e rimettersi alla semplicità, respingere le false tradizioni, gli idoli vacui e profani, e rientrare nel vero e cercare Dio, non arrestarsi al fenomeno che illude, che passa senza cercare la legge e ritemprarsi nei grandi principii: respingere l’assurdo e accettare l’evidenza; su ciò fondare l’edificio dell’avvenire.

 

 

 

PARTE TERZA

 

L’ORDINE NUOVO

CAP. 1 - IL PROBLEMA MORALE

 

1. E dopo aver percorsa l’Europa, chiuso nella solitudine del mio eremitaggio, io, accorato, domandavo a me stesso:

2. Onde il disordine morale e materiale, che agita e sconvolge l’Europa, per cui nulla v’ha più di stabile e sicuro nel mondo politico, nell’economico e morale, e si vanno accumulando rovine su rovine?

3. Nessun principio più unisce gli spiriti, nessuna fede domina le fantasie e i cuori. – La critica ha tutto demolito, e quanto ha risparmiato la critica cadde abbattuto dall’ignoranza e dallo scherno.

4. E ricorrevano nella mia mente i testi della sapienza antica: “ Se Dio, diceva il Salmista, non edifica la casa, invano la veglia il custode;

5. “ Egli è il fondamento d’ogni cosa – in lui viviamo, siamo, moviamo. – Il tutto si fece con ordine, peso e misura.”

6. E, mentre queste parole della sapienza antica ricorrevano al mio pensiero, io passavo le lunghe notti sulla soglia del mio eremitaggio o immoto e assorto sul vertice del Monte Amiato.

7. E, lontano lontano, i monti della Sabina disegnavansi sull’orizzonte, irti di rocce e popolati di cipressi, di quercie, d’abeti.

8. Le acque, scendendo limpide e fresche giù dal fianco dei monti e raccogliendosi nel letto d’un fiume, scorrevano liete e serpeggianti pei campi recandovi la freschezza e la vita.

9. La natura dispiegava innanzi al mio sguardo i monti, i colli, i piani, come circondati e avvolti da un velo leggiero e trasparente. – Tutto era muto ed era pieno d’eloquenza; era notte e tutto scintillava; tutto pareva passasse inerte, cullato nel silenzio e nell’oblio, e dappertutto si sentiva un palpitare incessante della vita.

10. La terra sussurrava la sua parola al mare; il mare alle spiaggie remote; e le fila di un misterioso colloquio legavano insieme la natura e l’infinito, dalle correnti del mare alle correnti dell’aria, dal raggio dell’astro solitario, alla popolata nebulosa gravida di mondi, dei quali, ciascuno a suo turno sarà chiamato a ruotare scintillante negli spazi incommensurabili.

11. Tutto era silenzio, e parlava al pensiero; pareva avvolto in una pace profonda ed era tutto lavorio; pareva mistero, ed era realtà, evidenza, e pace.

12. La natura si proclamava da sé stessa, in questo spettacolo; legge armonica, luce ed ordine.

13. E solo per l’uomo non v’ha che l’irrequietezza, e il dubbio. Dovunque penetra la luce, e solo nell’uomo, solo nella coscienza umana dovranno perdurare le tenebre?

14. Perché l’armonia, che regna nell’universo, non si rifletterà nel mondo dei popoli? Perché la legge, che governa il cosmo, perché non regge gli ordini sociali?

 

CAP. 2 - LA LEGGE ARMONICA

 

1. Quale la forza e il principio, che produsse l’armonia dell’universo?

2. Come avviene, che in tanta varietà di forme, di movimenti, di tendenze negli enti che popolano gli spazi, tutti sono retti da un ordine sublime, condotti da una legge armonica, collegati in quella unità comprensiva, che costituisce l'universo, uno ad un tempo e diverso, o meglio, nella sua varietà, volto, converso verso l’Uno?.

3. Quest’armonia è il prodotto di una legge che domina in cielo come in terra, che guida del pari nella loro orbita il sole e gli altri astri, come i più piccoli esseri nel loro sviluppo sulla terra.

4. E’ la legge di gravitazione, di attrazione e repulsione; la forza centripeta e centrifuga, per cui ogni cosa è attratta e respinta dal centro, e tutto finisce per equilibrarsi, e coll’equazione delle forze si genera e regna l’unità.

5. Quest’unità, sulla quale poggia il mondo fisico, conviene pure divenga il fondamento dell’ordine morale e umano.

6. Essa è la forza sulla quale poggia il cosmo; essa è il principio , la pietra angolare, sulla quale conviene ricostruire la società umana.

7. Sull’unità suprema, che si risolve nell’unità della sostanza e dell’essere, vuolsi fondare quella umana e sociale.

8. Tale il principio, a cui per intuizione si erano ispirati gli antichi sapienti dell’Oriente, che proclamarono del pari i patriarchi, i Profeti e Cristo; che professarono i filosofi e i poeti delle scuole italiche, da Pittagora ad Anassagora, a Epidocle, a Virgilio; articolo di fede, principio religioso in Oriente, è postolato logico, ragione filosofica e sociale nell’antica Italia.

9. Ciò che era per quegli intuizione, aspirazione, ipotesi, mistica fede, divenne per la scienza moderna evidenza e realtà.

10. E’ realtà che favella ai sensi, parla alla mente, ed evidenza, che si manifesta dallo studio e dall’esame d’ogni fenomeno della natura.

11. Intorno a noi, riscontriamo le forze multiple che si trasformano, e, mentre assumono aspetti diversi e producono effetti svariatissimi, sono ricondotte ad un principio, ad una sostanza, ed, in mezzo alle varietà delle loro metamorfosi sono rette da una legge identica.

12. La legge di gravitazione, che tutti gli scienziati da Newton a Laplace, da Arago al Padre Secchi hanno riscontrato inoppugnabile, e che costituisce l’armonia e l’unità dell’universo.

13. L’unità che domina la natura è l’unità meccanica e inconsapevole; ma come potrà essa reggere il mondo morale e umano, dove tutto è, contraddizione, attrito, discordia, per cui da ogni creatura prorompe un gemito di dolore, e il male sembra dominare e trionfare?

 

CAP. 3 – IL MALE

 

1. Il male! – La sua origine, come e perché si diffuse sulla terra, è l’arduo problema che, in ogni tempo, le religioni hanno tentato di sciogliere e che affaticò sempre la mente dei pensatori.

2. E tutti i dogmi antichi e moderni hanno inventato leggende e storie per ispiegare l’origine del male, e, come il vaso di Pandora si sia versato sulla infelice progeine umana, tentando di giustificare la Provvidenza; quasi che la Provvidenza avesse bisogno di giustificarsi al cospetto dell’uomo.

3. E per lo più queste pretese giustificazioni si risolvono in favole assurde, immorali, che sarebbero la condanna della Provvidenza e la negazione della giustizia.

4. Per la disubbidienza del primo uomo, si disse, il male si propagò sulla terra. Quindi si venne a questa strana conseguenza: o che Dio scendesse in terra, a farsi uccidere per purgare il primo peccato, o che l’umanità soffrisse eternamente.

5. Triplice errore, triplice bestemmia, perocchè è contrario ad ogni concetto di giustizia il punire nei figli le colpe del padre. – Ciascuno, dice Iddio, è responsabile delle proprie azioni. – Dio infinito non può assumere forma umana e infinita; ed in ogni modo, Dio, ente immortale, come potrebbe soffrire e morire? – Dio non indurrebbe mai un popolo intero a commettere la più grave delle colpe; l’uccisione dell’innocente, perochè Dio comandò: Non uccidere.

6. Leggende queste assurde e pagane, che non spiegano la origine del male, ma contraddicono ad ogni principio di moralità e di giustizia, e pervertirono l’uomo e la società.

7. Leggende assurde, di cui non trovate traccia nel vero Evangelo di Cristo, che anzi sono la negazione del vero Cristianesimo, il quale predica: - Amore, carità, giustizia – e sono frutto della menzogna e divennero la pietra angolare della falsa Chiesa e del falso Evangelo.

8. Infatti, siccome una assurdità, una contraddizione, ne genera altre, se, come predicano i teologi, Dio è sceso veramente per redimere l’uomo dal male, come mai il male continuò, durante questi due mila anni, dopo la redenzione, ad affliggere anche più feroce l’umanità e a trionfare!

9. Ora io vi dico, che tutte queste leggende sono indegne della vera religione, sono le negazione del vero Cristianesimo. E vi dico ancora, che il male non esiste da sé, e i dolori, che affliggono l’umanità, dovranno un giorno dissiparsi, o saranno scemati, addolciti col vero Cristianesimo, il Cristianesimo che io sono mandato a rinnovare, il Cristianesimo della giustizia e della fratellanza.

10. Il male non esiste in sé, come non esistono le tenebre. Le tenebre, la notte, non sono che l’allontanarsi della luce; il male è la deficienza del bene. – Ma lo stato normale della natura è il calore, la luce, lo stato normale dell’uomo è il benessere.

11. Il male non esiste in sé e per sé, ma è relativo. – Ciò che oggi chiami bene, può domani convertirsi in male; ciò che è danno e dolore, può domani convertirsi in piacere. – Il ferro che apre il solco della terra in mano dell’agricoltore, può divenire ferro parricida in mano al violento.

12. Senza il dente dell’aratro, che dirompe il terreno, questo si copre di bronchi e di sterpi; senza lo stimolo del bisogno o del male, l’uomo finirebbe per poltrire nell’egoismo, nell’ozio, nell’ignavia.

13. Egli è lo stimolo del bisogno, che spesso voi appellate il male, la forza che spinge l’umanità di conquista, l’ala che lo solleva di vero in vero, e diviene coefficiente della civiltà.

14. In quello stimolo risiede la forza, che ritempra ed avvalora l’animo, da lei rampolla il successivo conforto e il premio, perocchè ciascuno deve essere figlio delle proprie opere.

15. Nel contrasto è la vita, nella inerzia la morte; solo nella lotta e nel contrasto si svolgono le grandi facoltà umane, esulta e si rifeconda la vita.

16. E’ la lotta che plasma l’eroe; l’eroe del pensiero e della forza; nell’eroe si esalta e si glorifica il genere umano.

17. Benedetto il male più del bene, perché è questa la cote che rintuzza gli animi, affina il pensiero; questo l’impulso, che spinge l’umanità di progresso in progresso, allarga e indirizza le ali del pensiero a migliorare le sue sorti, a meglio comprendere le opere di Dio.

18. Che pregio avrebbe l’uomo se fosse quaggiù tutto beatitudine, letizia, e non gli si offrisse, come alla scrofa, altro scopo alla vita che pascere ed ingrassare?

19. Che pregio ha il ricco, il quale, ereditando le opulenze avite, vive negli agi? Nessuno. – Ma l’uomo che, col lavoro, con l’intelligenza, colla virtù; si leva da basso in alto stato: l’uomo che seppe sopportare con animo rassegnato gli stenti, le privazioni, lottando contro ogni specie di contrasto, per creare a sé una nobile condizione nella società; quell’uomo è circondato dalla stima universale, e ciascuno lo segna a dito, come figlio delle sue opere, come eroe del lavoro, come cittadino che bene meritò della patria e della società.

20. Non è vero che Dio ci voglia infelici, poveri sulla terra, come predica il falso sacerdote; e ci imponga di soffrire, di vivere fra digiuni e privazioni in terra per conquistare il regno dei cieli.

21. NO. – Dio diffonde il sole al pari sulla capanna del povero, come sulle reggie e sulle doviziose dimore. Dio chiama tutti del pari alla felicità e alla luce. – Ma la felicità dobbiamo conquistarla col lavoro delle nostre mani, la luce colla virtù dell’anima e colla forza del pensiero.

22. Crea in te uno spirito elevato, purifica il tuo cuore, conserva intemerata la tua coscienza; ecco la fonte inesauribile d’ogni bene; ecco lo scudo contro cui si spezzano i dardi del male.

23. Non è vero, che fonte d’ogni male sono le passioni, anzi le passioni sono talora la voce di Dio, le grandi e nobili aspirazioni del cuore. Ma esse sono come il fuoco: o illuminano o abbruciano. A te spetta, o uomo, o donna, il farne un fuoco che riscaldi, una luce serena che illumini e ravvivi.

24. Sinora prevalsero, per lo più, passioni perverse e abbiette, perché l’ambiente sociale era corrotto. – Tutto era superstizione, fanatismo, violenza, assurdità, errore; e generano effetti conformi.

25. Conviene creare un ambiente sociale sano, benefico; educare le menti a verità e giustizia; non pervertire con l’errore le coscienze – cosicché alle ree passioni subentrino quelle che spingono a carità, a fratellanza.

26.Usciamo dall’ambiente del passato pregno di ire, di discordie, d’invidie e di errori, per ricrearci in un ambiente sano, corrispondente alla legge eterna della ragione delle cose e della ragione umana.

27. Allora soltanto il vero Cristianesimo potrà allignare e svolgersi; allora sarà veramente schiacciato il serpente del male, e potremo parlare di vera redenzione.

 

CAP. 4 – SATANA

 

1. Dopo che le false religioni concepirono il male come una delle forze che domina il mondo, esse lo vollero pure personificare; e ne fecero un Iddio e lo collocarono, come potenza a potenza di fronte a Dio.

2. Satana fu l’ultima parola delle religioni del passato, come del falso Cristianesimo.

3. L’universo fu da loro diviso in due campi; l’uno occupato da Dio, l’altro da Satana.

4. La natura, il mondo terreno, è in gran parte abbandonata a Satana; il mondo celeste è posseduto da Dio.

5. L’uomo, già di per sé debole, fu abbandonato in preda a Satana. – A Satana la terra; agli angeli il cielo.

6. Il dualismo, che divise in due campi l’universo, ha pur scissa in più parti la società umana. – Da una parte gli eletti, dall’altra i reietti; da una parte il mondo dei santi, dall’altra i profani, da un lato la Chiesa, dall’altro lo Stato.

7. Ciò tornava comodo ed utile ai preti e ai principi, i quali manomettevano i popoli ora in nome di Satana, ora in nome di Dio, sempre per proprio vantaggio, e si cominciò a spaventare le menti col terrore di Satana, per poi assoggettarle in nome e per interesse proprio.

8. Ora tutto ciò poggia sul falso Cristianesimo, sull’assurdo, che per duemila anni ha occupato la società Cristiana.

9. Dio è unico; non ammette rivali innanzi a sé; la forza che compenetra il mondo fisico e il mondo morale è una ; il male non esiste per sé, non esiste il male pel male, ma tutto è bene, e volge a bene, ed è stimolo, sforzo od evoluzione verso il bene.

10. L’universo è popolato da molteplici elementi; essi talora si contrastano, ma dal contrasto, dall’urto degli elementi nasce l’equazione, che è l’armonia del tutto.

11. Tutti questi elementi contrastanti si agitano sulla terra e si confondono. – Spetta all’uomo, che ragiona, scegliere, assimilare a sé gli elementi, che per meglio convengono alla sua natura e meglio rispondono al progresso sociale.

12. A lui il sceverare il grano dal loglio, il frutto buono e alimentatore dalla cicuta e dal veleno.

13. L’uomo non è forza inerte; non è schiavo dominato dagli istinti. Anzi il progresso dell’individuo, come dell’umanità, consiste nel sapere dominare gli istinti brutali e dare la prevalenza agli umani e benefici.

14. Tutte le passioni si agitano irrequiete entro il cuore dell’uomo: passioni benevoli e perverse, alte e volgari. – Vinci le passioni volgari e avrai vinto Satana.

15. Non basta domare in sé le passioni ree, bisogna educare in noi le passioni nobili e generose; e allora non solo si vince Satana, ma si acquista la vera unità fisica e morale, che eleva ed avvicina l’uomo al Dio uno.

 

CAP. 5 – LE PASSIONI

 

1. Le passioni sinora hanno prodotto le divisioni, i disordini, le guerre che insanguinarono la terra; epperò alcune religioni stimmatizzarono le passioni come principio d’ogni male, come mezzo di cui si giova Satana per prendere il genere umano.

2. Condannare le passioni per danni che producono è come condannare il fuoco, perché arde e consuma; l’acqua, perché spesso diviene torrente che inonda e rovina, l’aria, perché si converte in turbine e in tempesta.

3. Ma l’esperienza e la scienza hanno trovate le leggi per dirigere le acque, incatenare i venti, sottoporre le forze scomposte dalla natura alla volontà dell’uomo e volgerle a strumenti benefici e a sussidio dell’umanità.

4. Ciò che accade delle forze cieche della natura, dovrà avvenire di quelle forze; spesso scomposte che si appellano passioni.

5. Conviene studiarle, penetrarne il movente arcano nell’individuo e nella specie, e scoperte le leggi loro, i loro movimenti convertirli in altrettanti fattori della civiltà e del progresso.

6. Ciò che è attrazione meccanica nel sistema cosmico, diviene passione nel mondo umano.

7. L’attrazione dei corpi celesti è sottoposta ad una legge meccanica; non altrimenti le passioni umane devono essere rette da leggi superiori, le quali le guidino ad un accordo per armonizzarle coi bisogni dell’uomo e della società.

8. Come la scienza scoprì la legge di attrazione e repulsione, che formano l’equilibrio dell’universo, così la morale deve applicarsi a scoprire il meccanismo delle passioni per coordinarle col mondo umano.

9. Conveniva cercar modo di ottenere questo accordo, questo ordine; e invece che fece la morale, che fece la religione?

10. La morale dei così detti sapienti predicò, che il sommo della virtù e della beatitudine era combattere le passioni del cuore, soffocarle, annientarle. – Il che è come se si consigliasse di svellersi le braccia, recidere i piedi, anziché esercitarli al lavoro, all’azione. – Secondo costoro svellere dal cuore dell’uomo le passioni, sarebbe il mezzo di rendere l’uomo sapiente e morale.

11. Le religioni a loro volta, fondandosi spesso sulla fantasia e sulle passioni, hanno per lo più lusingate ed esaltate le passioni stesse, ma le ree, le cieche e riprovevoli a preferenza delle utili e rette.

12. Le religioni pagane hanno deificato la prepotenza, la forza, la frode, la cupidigia, la libidine. Per secoli i sacerdoti offrirono all’adorazione dei popoli Giove armato di folgori, Marte terribile in guerra, Mercurio, Venere, Bacco, Giunone. – Tutti i vizi ebbero il loro Nume; le passioni più sensuali e abbiette furono rappresentate nell’Olimpo divino.

13. Quale il cielo, tale la terra, e quaggiù la guerra, la conquista, la rapina divenne gloria; e re e principi furono tanto più esaltati quanto più avevano desolata la terra. Queste erano le nobili passioni con cui si educavano i popoli.

14. Storici e poeti tennero bordone ai sacerdoti; guerre, rapine, stragi furono i fasti più gloriosi e più celebrati; Achille, Ajace, Ulisse, Alessandro, che rappresentano la violenza, la vendetta, la frode, furono i tipi più grandiosi dell’arte, gli eroi dell’antichità.

15. Nell’epoca moderna, in cui regnò l’ipocrisia, si continuarono a ripetere, sotto aspetto più coperto e più mendace, le colpe e le violenze antiche.

16. Altri cantò le Armi pietose, come se le armi brandite in guerra avessero senso di pietà; altri cantò le pene eterne e l’inferno e il purgatorio, lusingando e accrescendo i pregiudizii popolari ed i terrori incussi dai preti; altri il paradiso perduto, il peccato originale, che sono la negazione della bontà divina, della Provvidenza, e della giustizia eterna. – E tutto ciò osarono appellare arte Cristiana, poesia Cristiana e poesia divina.

17. Ora io proclamo, in faccia a Dio e in faccia all’uomo, che il Cristianesimo non è nulla di ciò, ed anzi che ciò non è altro che un peggiorato Paganesimo.

18. Ora io vi dico, in faccia a Dio che mi ispira, ed in faccia agli uomini, che il Cristianesimo è nulla di tutto ciò, anzi ciò sarebbe la negazione del Cristianesimo.

19. Cristo accese d’amore pel genere umano, fu primo a comprendere la potenza delle passioni, per formare la educazione degli uomini. E non già la sua morte, ma la sua vita fu tutta una Passione, che infiammò quello spirito eccelso pel vero, pel buono, pel santo.

20. Epperò la sua religione è la religione della Passione; e il suo cuore fu il focolare degli affetti, che tutt’ora riscaldano e illuminano il popolo.

21. La Passione, che fu accesa e diffusa dal cuore di Cristo, fu la passione per l’umanità, per la elevazione dello Spirito a Dio, per la fratellanza e l’amore.

22. E’ per l’alta passione onde fu invaso, che egli affrontò il martirio e la morte per giovare alla causa della umanità e di Dio.

23. Invece, dopo il triplice tradimento di Costantino, quando venne sostituito il falso al vero Cristianesimo, anche il concetto della passione fu falsato alterato;

24. Si finse di adorare Cristo e si continuò ad incensare Giove, Marte e Venere.

25. All’abnegazione, si sostituì la simonia e l’egoismo; alle umiltà, l’orgoglio; alla carità e al perdono, la violenza e l’odio; alla fratellanza, l’invidia; alla tolleranza, le persecuzioni di una setta, la quale si appellò Chiesa universale, e fu la persecuzione universale.

26. Ai simboli primitivi del Cristo, che erano il sole che illumina, l’acqua che terge e purifica, l’olio della pace; e alla vita di un uomo tutto amore e abnegazione, si sostituirono le angosce supreme della morte, gli strumenti di supplizio, i simboli della tortura, i chiodi, le tenaglie, i martelli, con cui si continuò a tormentare i popoli. – Caino fu sostituito a Cristo, la morte alla vita, i maleficii dell’anima e del corpo, al bene e alle gioie della fratellanza e dell’amore.

 

CAP. 6 - L’INDIVIDUO

 

1. Come ritornare al vero Cristianesimo, al Cristianesimo di Cristo di Nazareno?

2. Col riscaldarsi ancora del fuoco della vera passione, di cui ardeva il Nazareno nella sua vita; col formare un ambiente sano nella società, in cui possano allignare passioni nobili e benefiche.

3. Come arrivare a tal meta? Col seguitare l’esempio e il metodo del Nazareno; ciò è l’educare l’individuo, perché l’individuo educhi la famiglia, la famiglia la città e la nazioni.

4. Ecco le linee generali; ora veniamo al concreto e ai particolari.

5. Ogni individuo riformi se stesso. – Ma come arriverà egli a riformare se stesso?

6. Con lo spengnere in sé gli spiriti egoistici e malvagi, e amare sé negli altri in sé.

7. Sinora si disse: “Ama il prossimo come te stesso”. E si metteva per fondamento della morale l’amore di sé, ed il prossimo, in quel linguaggio, non significava che la propria setta, la propria Chiesa.

8. Ora io vi dico: Ama la gente straniera come la tua, perocchè siete tutti figli di una stessa famiglia, spirito di uno stesso spirito, corpo dello stesso corpo, con cui si forma la famiglia Umano-Divina.

9. Dall’unità divina rampolla l’unità umana. – Uno come tutti; tutti come uno. – Ecco la parola dell’avvenire, la base della morale eterna.

10. La condotta degli uni è solidale con quella degli altri. La solidarietà ci lega di vincoli invisibili, ma impossibili a spezzarsi; la sua molla è nell’intelligenza e diviene forza sociale; che ci avvince e trascina. E ad essa rilegando, assimilando fa della società umana un essere, una sostanza sola.

11. Supremo intento dell’individuo nella vita è di suscitare, educare in sé il senso del divino. – Ed in ciò è riposta la chiave dei misteri cristiani; l’Alfa e l’Omega dei dettami usciti da Nazaret, nella Giudea.

12. Sinora i savj dei popoli ci dissero: “ i sensi sono cinque: il tatto, il gusto, la vista, l’udito, l’odorato. Ma esiste pure un sesto senso, che per lo passato fu appena avvertito, e che pur domina, regge, rischiara gli altri tutti.

13. Un senso, che ascolta più dell’udito, mira più degli occhi, sente e opera più di tutti e per tutti.

14. E’ la sintesi dei sensi, è la coscienza intima, l’aspirazione inesplicabile incessante, del pensiero verso un buono, un bello un utile scopo che si vuole conseguire; quello che io chiamo il senso arcano del Divino.

15. Questo senso del Divino fu il principio germinale, la cellula creatrice e direttrice di ogni civiltà.

16. Strappò l’individuo all’egoismo della sua solitudine, gettò le fondamenta della famiglia e con essa, della vita sociale; raccolse i selvaggi sparsi, associandoli attorno ad un focolare, ad una tenda; fondò le religioni e le arti; onorò i sepolcri, impose il rispetto pei vecchi, l’amore per la donna, l’affetto pel bambino, ispirò le scienze e le grandi manifestazioni del pensiero, e continua a creare senza fine, per dare una forma sempre più finita, concreta e più pura a questo meraviglioso ideale di verità, di giustizia, che spira e aspira eternamente, infinitamente entro di noi il Divino.

17. E’ questo il senso, che ogni individuo deve coltivare, educare, svolgere in sé, per crescere in moralità e in sapere, per moltiplicare e rimondare le sue forze, è questa la luce, che ogni uomo porta con sé, come disse l’apostolo Ebreo, quando viene al mondo (Luca 16,21).

18. Quando ciascuno avrà perfezionato in sé questo senso, la società diverrà prospera e concorde, unificata e divina.

19. E’ questa la suprema parola del vero Cristianesimo, il Verbo con cui i profeti, i savj e Gesù lo hanno riassunto, quando proclamarono il futuro redentore. L’Emanuello.

20. Perocchè l’Emanuello significa lo scoprire, il comprendere il Divino che è in noi. – E’ il precetto che la Bibbia, per la voce di Mosè e dei profeti con queste parole: “ Sia santo come l’Eterno tuo Iddio” è la voce di Gesù, che diceva “Il Regno di Dio e dentro di voi” .

21. Questa è la congiunzione progressiva dello spirito umano con Dio.

22. Esso è il Divino nella sua espressione fisica e terrena è la vita; esso è tutto ciò che fa bella, nobile, benefica la vita.

Ora che cosa è la vita in sé? Come fu essa considerata?

 

CAP. 7 - LA VITA SOCIALE

 

1. Il falso Cristianesimo aveva alla vita sostituito rinunzia a sé stesso, l’abbandono del mondo e delle sue gioie, il celibato, il deserto, la morte; alla ragione, al pensiero, la fede cieca; alla libertà, l’ubbidienza assoluta; alla speranza per migliorare la propria sorte e darci forza a lottare contro le avversità, la rassegnazione inerte, una speranza vaga, indeterminata di là del sepolcro, il quale doveva offrire all’individuo un premio egoistico dopo la tomba.

2. Tutto ciò costituisce il falso Cristianesimo, formulato dai potenti per usufruttare da se soli la terra, per godere la vita con tutte le sue gioie condannando le masse alla privazione, alle sofferenze, così da desiderare la morte e non cercare conforto che al di là della fossa.

3. Supremo bisogno dell’uomo è la società; primo dovere dell’individuo, fondare la sua famiglia. – Infatti come amerai tu il prossimo, se cerchi fuggirlo, se ti chiudi nella solitudine?

4. Il tuo amore deve essere un amore operoso, non una vana parola, Cerca il tuo prossimo, ti unisci a lui e insieme aiutatevi, sorreggetevi.

5. Tre sono gli istinti principali, che hanno radici profonde nel cuore dell’uomo, e divengono focolari di passioni.

6. Primo istinto – o passione germinale nell’individuo – e la Sociabilità; unirsi col suo prossimo.

7. Secondo istinto; desiderare il benessere, le ricchezze, la sanità. Quindi non dico, come i falsi profeti “Soffrite, pazientate, le ricchezze sono stimolo al peccato”. Ma dico : “Lavorate, producete, accrescete col lavoro la ricchezza propria e della società, il lavoro ritempra le forze fisiche, suscita le morali

8. Terzo istinto: quello di progredire, di elevarsi, di perfezionarsi. L’uomo ha in sé lo stimolo del Divino, che sempre lo spinge ad alta meta; ha il nobile orgoglio di crearsi uno stato sempre onorato e migliore tra i suoi simboli.

9. Queste furono in ogni tempo e saranno le passioni principali, che ardono entro il cuore umano. Varie sono le loro manifestazioni, ma nel fondo , identiche.

10. Invano la religione e la morale falsate si avvisarono di combatterle e soffocarle. Invece bisogna che esse si sviluppino in modo armonico e conforme al bene di ciascuno e di tutti.

 

CAP. 8 - LA SOCIABILITA’

 

1. La Sociabilità è istinto inconsapevole in varie specie di animali: per esso le api, i castori, le rondini, le formiche si uniscono a lavorare in comune, e a intraprendere in comune lunghe peregrinazioni; ma esso diventa consapevolezza nell’uomo e sorgente di progresso.

2. Il falso Cristianesimo volendo isolare l’individuo per dominarlo più facilmente, predicò l’isolamento, il chiostro, il celibato.

3. Queste predicò essere virtù sociali e abnegazione, mentre non erano che egoismo. – Con tal dottrina si rinunziava ai doveri verso la società, verso il prossimo, per non occuparsi che di sé e della vita futura, si dissolveva la famiglia, si arrestava ogni progresso sociale.

4. Si popolarono gli aridi deserti, si disertarono i luoghi culti; si elevarono i conventi, si santificò l’ozio, si condannarono a un forzato celibato innumerevoli fanciulle create per essere spose e madri.

5. La falsa dottrina formò quell’ambiente morboso, nel quale si agitano molti popoli Cattolici, soggetti a dogmi antisociali.

6. Conviene uscire dal falso dogma per rientrare nella verità e nella realtà; non ubbidire alla dottrina dei falsi sacerdoti, ma agli istinti eterni e sacri del cuore umano.

7. Ora, fondamento della civiltà futura, come principio vitale del vero Cristianesimo, è la Sociabilità, perocchè essa porta con sé l’amore del prossimo e il desiderio, la forza di giovargli.

8. E la sociabilità ha tre manifestazioni principali, che abbracciano, in tutte le sue forme, la vita, cioè: la famiglia, la città o la nazione, e l’associazione.

 

CAP. 9 - LA FAMIGLIA

 

1. Le false religioni ed i sistemi anti-sociali tentarono in ogni tempo dissolvere la famiglia per sostituirsi ad essa nel cuore umano; ma la famiglia è un bisogno individuale indistruttibile.

2. Si tentò dissolverla in Oriente, proclamando la poligamia, in Occidente col santificare il monachismo e il celibato, e nei tempi più recenti col predicare il comunismo, il collettivismo, l’anarchia delle passioni e dei sessi.

3. Ma la poligamia, di cui si venne ogni di più scoprendo i perniciosi effetti, va diminuendo e scomparirà in Oriente, come ormai è respinta dall’Occidente. Le mura dei conventi sono abbattute, il celibato porta in sé la sua condanna, e il comunismo non metterà mai radici tra i popoli civili.

4. Però non basta combattere le false dottrine; conviene sostituire le dottrine buone e feconde; all’ordine antico viziato sostituire l’ordine nuovo, più sano e perfetto.

5. Conviene ricostituire la famiglia sulle sue basi, secondo la legge delle passioni armoniche, e della attrazione universale.

6. La famiglia è al mondo umano e morale ciò che la cellula creatrice è nel mondo organico. Da essa deve nascere la città e la nazione.

7. Se la cellula germinale è sana, gli organi dell’individuo si svolgono con regolarità, ordine e forza, si che la costituzione di lui riuscirà robusta e sana. Così se la famiglia è ordinata, morale, armonica, tali riusciranno la città e la nazione.

8. La famiglia forma un tutto in sé, una compagine di forze, che si fondono insieme per formare un nucleo, comporre come un organo solo.

9. Il matrimonio è un atto individuale insieme e sociale, caduco ed eterno. – E’ l’atto di una coppia, - uomo e donna – che si uniscono liberamente e si completano a vicenda, collo scopo di compiere un’azione morale e sacra, cioè di formare e stringere il vincolo delle generazioni future.

10. Quindi la sua consacrazione è ad un tempo civile e religiosa, si consacra il cittadino, che completa la società, e l’uomo che si dispone a continuare il pensiero della Provvidenza nei secoli, lo scopo della natura – di perpetuare la specie.

11. Il matrimonio è la manifestazione spontanea dell’attrazione universale nell’individuo. Quindi, dopo aver educato nell’individuo le tendenze sociali, conviene lasciar libero il sesso nella scelta della persona che meglio lo completi sulla terra.

12. Famiglia perfetta è quella in cui lo sposo e la sposa formano un solo essere, che palpita in due cuori, due menti che pensano in una; e i figlioli riproducano in sé gli effetti armonici e le virtù paterne e materne.

13. Centro della famiglia è la donna – essa la luce, essa la fiamma avvivatrice. Pure finora che fa la donna nella società?

14. Non si mirava in lei altro che l’ancella per gli umili uffici e l’istrumento del piacere – sempre passiva, soggetta sempre, minorenne o schiava.

15. E la donna, in questa società falsa, non cercò a sua volta che il piacere, di allettare, e talora di ingannare. – L’uomo ebbe la donna che si meritava.

16. Rendere alla donna la sua dignità; ridonarle i suoi diritti sociali; educarla, svolgere in lei le grandi facoltà che natura le ha prodigato; previdenza, abnegazione, aspirazione al bello, al buono, alla pietà, alla tenerezza, questo bisogna fare, ed essa diverrà la più potente e armonica delle forse sociali.

17. Rendere alla donna la sua dignità, alzatela, e così la società sarà rialzata, poiché sarà rialzata metà del genere umano.

18. Il falso Cristianesimo disse di aver redenta la donna dalla schiavitù del serpente e dei sensi; e la rese invece più schiava, con le superstizioni, col misticismo isterico e morboso, così da renderla soggetta della chiesa e staccarla dalla famiglia, renderla anti-sociale.

19. La donna divenga sacerdotessa del vero Dio, e sia vincolo di fratellanza tra la famiglia, la città, la nazione. Essa, che è tipo più perfetto dell’armonia delle forme, divenga principio e mezzo della futura armonia sociale.

 

CAP. 10 - CITTA’ E NAZIONE

 

1. La famiglia è la prima manifestazione della Sociabilità o dell’istinto sociale innato nell’uomo; essa ne è la cellula direttrice.

2. Le città ne sono i centri, le arterie, di cui si viene componendo il corpo della nazione; le nazioni sono i muscoli e i centri vitali. Le associazioni, sia militari che operai, laiche come religiose, sono le vene, i centri nervosi, entro cui scorre il sangue, lo spirito dei popoli, e tutti insieme famiglia, città, nazione, associazioni concorrono a costituire un grande corpo nella sua unità e varietà – Il genere umano.

3. Quindi famiglia, città, nazioni, associazioni devono riguardarsi come altrettanti organi di un corpo solo, di una sola persona – l’Adamo-Umanità.

4. Ad ogni organo sono attribuite funzioni speciali: conviene provvedere anzitutto che ciascuno sia sano, vigoroso, atto, disposto ai propri uffici, perché tale riesca il corpo intero.

5. Quindi suprema cura del legislatore deve essere quella di costituire sana, vigorosa, morale la famiglia. L’ordine, il rispetto, il lavoro all’interno della famiglia diverranno ordine, disciplina e progresso nella città.

6. Primo precetto, che il Decalogo impone è di rispettare i genitori. Il rispetto pei genitori nel seno della famiglia diviene nella città ordine e deferenza verso i capi del governo, riverenza verso i magistrati e i poteri costituiti.

7. Il decalogo nella società patriarcale limitava la costituzione della famiglia nel rispetto verso il padre e la madre. – Nelle società più complesse, come sono le moderne, non basterebbe.

8. Al dovere del figlio verso il padre devono corrispondere quelli del padre nei confronti verso la prole. – Ad ogni dovere corrispondono diritti, e tali sono pei figli: l’istruzione, la previdenza, il lavoro, di cui il padre deve porgere esempio.

9. Sull’istruzione, sulla previdenza e sul lavoro si fonda la città come la famiglia. Perciò centro di vita alla città sono le scuole e le officine.

10. La società, come il padre di famiglia, colla previdenza deve agguerrirsi contro gli attacchi del tempo e della fortuna. Perciò vuolsi fondare istituti di previdenza morale, materiale, economica, come le scuole, il tempio, le casse di risparmio, gli stabilimenti di beneficenza, gli ospedali gli asili, ecc.

11. In ogni epoca città e nazioni proposero alla loro vita uno scopo sociale.

12. La città pagana , dove prevalse la forma materiale e l’elemento guerriero, si proponeva la guerra e la conquista: sottomettendo i popoli colla forza, e tutto in essa era ordinato a tale scopo.

13. La città del falso Cristianesimo, scissa dal dualismo permanente che divideva lo Stato dalla Chiesa, Cesare dal papa, era il disordine, la violenza in una parte, la tirannia del corpo e della coscienza nell’altra.

14. Essa, mentre era lacerata da triplice disordine civile, tra patrizii e plebei, sacerdoti e laici, eretici ed ortodossi, si proponeva un triplice scopo, che riusciva ad una triplice violenza: sottomettere le coscienze, soggiogare i corpi e le classi, imporre la tirannide religiosa, economica, morale.

15. La vera città Cristiana, secondo l’Evangelo, nell’avvenire deve volgere ogni sua mira ad un supremo intento; quello del benessere o del miglioramento fisico, economico, morale dei cittadini; e, sulla educazione ed elevazione morale ed intellettuale e fisica di ciascuno, sopra il benessere di tutti fondare la città armonica.

16. Quali i mezzi di poter raggiungere questo scopo?

17. Centro della città Pagana era la rocca, o la fortezza, ove ciascuno si addestrava alla guerra per riuscire alla conquista e a dominare sui popoli vicini.

18. Centro della città, detta Cristiana nel medio evo, era la Chiesa, il convento, nei suoi sacrarii si preparava la guerra o la pace, l’unione o la discordia, e si ammaniva la benedizione o la maledizione dei popoli e dei regnanti.

19. Il centro della vita nella città futura è mutato. – Il suo scopo non sarà, né la guerra di conquista, né quella di propaganda religiosa, non la violenza fisica, non la morale sugli individui soggetti e resi strumento di dominio;

20. Suo scopo sarà di migliorare in tutto e per tutti le condizioni dell’umanità. Validi mezzi per riuscire saranno la istruzione, il lavoro, l’evoluzione morale e intellettuale dei cittadini. A ciascuno di questi mezzi corrisponde un centro speciale, in cui si svolge una particolare azione; e questi si riassumono in quattro centri di vita propria, cioè la Scuola, l’Officina, l’Associazione, la Religione.

 

CAP. 11 - LA SCUOLA

 

1. L’istruzione è uno dei diritti acquistati dall’uomo chiamato a far parte del consorzio civile; e l’istruzione deve esser compartita dalla città e dal comune a tutti quelli che vi appartengono.

2. La scuola non deve essere riguardata come un carcere, in cui si chiude il bambino, isolando dalla società e dalla vita; anzi deve essere un compendio, una minatura della società, per avviare l’uomo alla scienza della vita.

3. Però l’istruzione non deve aggravare sull’intelligenza, e rinserrarla entro il materialismo dell’alfabeto, ma deve essere il mezzo per invogliare l’uomo all’amore della scienza, addentrandolo fin da bambino all’azione. Insegnandogli non solo la lettera morta; ma anche l’alfabeto vivente.

4. L’insegnamento non si limiti a lettera morta; ma sia spirito che viva ed agisca.

5. Prima cura del maestro, come dei parenti, sia di scoprire la vocazione del giovane, e agevolarne lo svolgimento e secondo questa educarlo.

6. Giova, a tale intento, nella scuola stessa, accoppiare alla teoria la pratica, e offrire al fanciullo un piccolo campo d’azione, che ne adeschi e adestri i sensi.

7. Nel bambino è l’uomo; e l’uomo deve essere educato a lavorare, non all’ozio, non ai vani trastulli, - L’azione è la vita.

8. La scuola sia simbolo vivente della società, non eco vano di dottrine astratte, ma sia il germe, che in sé prepara la pianta, la quale deve accrescere forza e vantaggio alla società co’ suoi frutti economici, morali, intellettuali.

9. E’ nella scuola, dopo la famiglia che si viene formando quell’ambiente morale e sano, che deve disseminare la produzione, a far germogliare l’ordine, l’educazione, l’istruzione, e in cui, con l’esempio e con l’opera, convien formare il carattere del cittadino.

10. L’unità nella varietà deve essere il principio che informa la scuola, come la città, e da cui rampolla la forza e l’armonia sociale.

11. Una è l’educazione, quindi ogni scuola, ogni ramo di insegnamento sia indirizzato al miglioramento sociale, e le scuole siano, come una scala ascendente, per cui si addestrano a grado a grado le menti a salire sino a che giungano, secondo le proprie attitudini, al loro apogeo sociale.

12. Alle scuole primarie e secondarie siano uniti gli istituti tecnici e universitarii, i gabinetti e i musei, cosicché le giovani menti mirino rappresentata e compendiata la vita della natura e alle arti, e dinnanzi ad esse cresca lo stimolo del fanciullo, la vocazione si determini, la intelligenza comprenda la vocazione e l’attitudine a cui è chiamata.

13. Così ciascuno potrà più acconciamente compiere i propri doveri di cittadino nella società e obbedire al destino suggellato nella sua costituzione fisica e morale.

 

CAP. 12 – L’OFFICINA

 

1. L’Officina è il vasto laboratorio della città, ove quanto teoricamente era stato insegnato nella scuola viene applicato, attivato, per penetrare nel movimento sociale.

2. Essa abbraccia tutte le sfere dell’attività sociale, dall’operaio sino allo scienziato, dall’abituro del fabbro e del falegname, sino al gabinetto del chimico e del fisico.

3. Centro un tempo della vita sociale era la Cattedrale, la parrocchia; esse si aggruppavano intorno le scuole, le associazioni sacre o laiche, religiose ed operaie, i municipii, i tribunali, lo Stato.

4. Centro della città futura sono la scuola e l’officina, che si completano a vicenda, si fondano in un pensiero, in una azione, in uno scopo.

5. L’operaio nella falsa democrazia, che prevale in questo secolo, forma quasi una classe a parte.

6. Ma nella città futura sono tutti operai; dall’agricoltore al ministro, dall’artista al manuale, al mestierante al pensatore. – Sono esclusi gli oziosi, i parassiti della società, rifiuto della società stessa.

7. Quindi l’officina è come una vaporiera, che mette in movimento la macchina sociale. In essa si esercita non solo un’arte, un mestiere, ma si esplica la vita nella sua energia e varietà.

8. Il Comune con i suoi rappresentanti, abbraccia nella sua organizzazione le diverse officine loro offre mezzi di lavoro e le coordina ad uno scopo economico generale. – Cessa di essere una amministrazione fiscale per divenire centro di previdenza, di ordine, di lavoro produttivo.

9. Il Comune del medio-evo in Italia già ebbe intuizione del nuovo ufficio cui era chiamato. – Era già un vivaio di operai. – Gli operai erano divisi e ordinati secondo l’arte esercitata; ciascuno aveva la propria bandiera, consacrata dal santo e dal patrono del mestiere.

10. A Firenze, a Lucca, a Siena; e in molte città lombarde esistevano le corporazioni dei legnaiuoli, dei tintori, dei setaiuoli e dei fabbricatori. Ciascuno aveva diritti e privilegi; essi formavano la ricchezza del comune.

11. Ma la società del medio-evo, essendo ordinata sul dualismo, sull’antagonismo di classe, di mestiere, di credenze religiose, queste corporazioni, anziché vincolo di unione ed elemento di ordine, divennero fomiti di guerre, si laceravano fra di loro, aizzate dai furbi e dai preti, per tenerle divise e meglio dominarle.

Dal loro seno proruppero quegli antagonismi che straziarono il seno della madre patria, aprirono il varco al dominio dei tiranni italiani, alla signora straniera, recarono un colpo mortale alla vita politica ed economica della nazione.

12. Ora al dualismo, nel futuro comune, deve succedere l’unità nel principio morale, l’unità nell’uguaglianza dei diritti; alla divisione deve succedere l’affratellamento nel lavoro, sostituito al privilegio dell’ozio e l’armonia nelle passioni.

13. Tutti operai d’una sola officina, il Comune. Tutti rivolti ad un solo scopo: il miglioramento di ogni individuo, d’ogni famiglia o la prosperità della nazione.

 

CAP. 13 - LE ASSOCIAZIONI

 

1. Le corporazioni d’arti e mestieri, che nel medio-evo, sotto diversi nomi coprivano come vegetazioni feconde il suolo delle città d’Europa, furono abbozzi o presentimenti delle associazioni operaie, che nell’avvenire devono coprire i due mondi.

2. Ma nel passato le corporazioni erano discordi, divise, secondo i mestieri, le origini, le religioni, quindi gli antagonismi tra mestieri, le lotte che ne nascevano, l’operaio si levava, come Caino, contro il suo fratello.

3. Nell’avvenire invece, in cui l’uomo si riconosce uno, figlio dell’Ente uno, nato al lavoro, al progresso universale, conviene organizzare il lavoro armonico, costituire la società a scopo di industria pacifica e di fratellanza.

4. Per riuscire nello intento vuolsi innanzi tutto stabilire il principio o il dogma della solidarietà – universale. – Non ire, non gare, non concorrenze per combattersi, ma emulazione per accrescere e perfezionare la produzione.

5. Questa la teoria, il principio morale, il mezzo pratico per attuarla risiede nell’organizzare per gruppi di lavoro.

6. Gli operai e la intera società non saranno più scissi secondo le razze, le origini, le credenze, il mestiere; ma ordinati in tre grandi gruppi, rappresentanti nel loro insieme la vita sociale in tutta la sua interezza e varietà. Questi tre gruppi sono:

7. Il gruppo o l’associazione degli Scienziati, quello degli Industriali, quello degli Artisti. I primi rappresentano la mente, l’intelligenza sociale; i secondi la forza fisica, il lavoro materiale, ed i terzi il genio, il fuoco dell’affetto, l’entusiasmo delle passioni.

8. Anziché avversarsi, gareggiare, questi tre gruppi sono il complemento l’uno dell’altro, e tutti insieme concorrono a formare la forza a crescere il benessere comune.

9. Infatti il lavoro materiale viene agevolato ai consigli del pensare e dai trovati della scienza. – La scienza è arida senza l’operaio, che prenda ad applicarla e rimane teoria sterile, e speculazione vacua senza l’industria che l’applica ai diversi bisogni della vita. Ed operaio e scienziato che cosa sarebbero senza l’artista? Che cosa sarebbero senza l’uomo, che ravviva col fuoco dell’affetto, coll’eloquenza, coll’armonia del ritmo i concepimenti dello scienziato? Che sarebbe la vita senza l’artista, che orna e fa bella l’esistenza intellettuale e accende il cuore ad alte e magnanime passioni?

10. Lo Scienziato, l’Industriale, l’Artista sono le basi su cui si fonda la società futura. Questi il nucleo, intorno a cui dovranno aggrupparsi le associazioni.

11. Nella società antica e nella moderna, che falsamente si appellò cristiana, che cosa era lo Scienziato? Era spesso irriso, come sognatore, perseguitato come innovatore, arso come mago o come eretico.

12. Che cos’erano il pittore, lo scultore il poeta? Erano abbandonati alla mercé di Mecenati superbi, da cui sovente erano poi perseguitati, come lo furono il Tasso, l’Ariosto, Camoens, Molière, Racine e molti altri.

13. L’operaio, il povero operaio, che lavorava per tutti, alzando sontuosi edifici ai ricchi prepotenti e oziosi, che tesseva pompose vestimenta alle castellane superbe, che dificava templi ammirabili ai sacerdoti che lo ingannavano, che cosa era? Era un arnese, uno strumento di fatica, una macchina, che sfruttata, adoperata nella giovinezza, veniva buttata via quando logora, e l’operaio vecchio era condannato a limosinare il pane, o a morire all’ospedale.

14. Scienziati, artisti, operai erano gli ultimi, ed essi devono divenire i primi, secondo il detto del vero evangelo. Erano gli ultimi, e su di loro si appoggiava il vivere sociale; coloro che erano la base della piramide sociale, devono divenirne la corona.

15. Ma ad operare una trasformazione siffatta conviene uscire dall’ordine antico e fondare l’ordine nuovo.

16. Il liberalismo avvertì lo sconcio dell’ordine antico e tentò rimediarvi. – Alla schiavitù, che premeva sul pensiero dello scienziato, sul lavoro dell’operaio, sull’entusiasmo dell’artista, sostituì la libertà di pensiero, di parola. – I liberali con la voce libertà, si argomentarono di rimediare ad ogni danno correggere ogni ingiustizia.

17. Ma la libertà creò la concorrenza, la quale non è altro che l’arte di divorarsi a vicenda.

18. Si gridò: - Lasciate fare, lasciate passare – e si fece il male e si aggravò il danno, si lasciò passare e per le porte spalancate, vedemmo passare non il bene, ma la gelosia, le invidie, e le ingiustizie.

19. Si predicò l’individualismo, la indipendenza, e nella pratica sociale si riuscì all’isolamento, all’egoismo.

20. S’accese una nuova guerra, non come le antiche, sanguinosa e feroce, ma abbietta, sorda, velenosa. In questa il capitalista cospira contro l’operaio, il mestierante contro il vero artista, il pedante volgare contro il vero sapiente, tutte le mediocrità contro l’ingegno, infine gli oziosi – che sono nella società in maggioranza – contro l’uomo d’iniziativa e d’azione.

21. L’ultimo portato della libertà fu l’isolamento e l’antagonismo. Ciascuno mira a sé e combatte il suo simile e per elevarsi per farsi strada passa indifferente sul cadavere del fratello calpestato. Ciascuno per sé, divenne la parola d’ordine della nuova società per l’individuo, come pei popoli . Come riparare a questa condizione di cose?

22. Col riunire ed accordare queste forze discordi ed avverse, e cercare il modo che tutti proteggano tutti. – Questo rimedio sarà l’associazione.

23. L’associazione è la parola redentrice nel mondo economico, come fratellanza ed amore lo furono nel mondo morale.

24. Nella società antica ogni cosa era preparata, ordinata per la distruzione, per la guerra ; ora bisogna tutto ordinare e rivolgere verso la produzione e la pace.

25. Le scienze fisiche e le meccaniche hanno riunite le forze cieche e ribelli della natura e le misero al servizio dell’uomo; così l’aria, il fuoco, l’acqua, il vapore, altrettante forze disgregate e sparse, vennero disciplinate ad uno scopo, e per tal modo centuplicarono la produzione.

26. E le scienze politiche ed economiche non troveranno il modo di consociare gli uomini secondo le loro tendenze, armonizzarne le passioni, gli abusi, e crearne un elemento d’ordine e di produzione, per accrescere il benessere della società?

27. Si poterono nel passato riunire innumerevoli orde barbariche e scatenare le forze loro, come un turbine di distruzione e di morte, e non si potranno nella società futura stringere insieme gli uomini civili per assicurare la pace e il benessere di ciascuno? Seppero unirsi, associarsi per la morte, non lo potranno per la vita?

28. Ora ciò accadrà allorquando la società saprà ordinarsi pel lavoro, come per lo passato si ordinava in vista della distruzione e della guerra

29. Quando ogni Comune avrà, fino dalle scuole primarie, impresso un indirizzo speciale ai cittadini, educato ciascuno secondo le proprie inclinazione, e alla teoria avrà unita la pratica, addestrando ciascuno verso il mestiere cui è chiamato, e associando ciascuno, ancora fanciullo, ad un’azione comune.

30. Ogni Comune potrà allora possedere un manipolo di Scianziati, di capi-operai, capaci di dirigere il lavoro di operai per eseguirlo, di Artisti per tenere vivo nel cuore della società l’entusiasmo del bello, l’amore del buono, e la religione degli affetti.

31. Allora ogni Comune possederà gli elementi per creare a sé una industria speciale, secondo le condizioni fisiche, i bisogni e le tradizioni locali.

32. Come venivano già ordinate armi e milizie speciali per la guerra, come si crearono ordini monastici per la propagazione della fede, e volti a scopo diverso, e per dissodare incolti terreni, secondo il genio del tempo e i bisogni della Chiesa; così la civiltà e i Comuni potranno creare ordini o milizie di industrianti, battaglioni di lavoratori – uomini e donne – ed imprimere loro uno scopo industriale.

33. Questi, educati all’agricoltura, potranno, associandosi insieme; accudire alla coltivazione dei terreni all’interno dello Stato, o muovere anche verso lontane regioni e dissodare terreni incolti e conquistarli alla civiltà.

34. Ora invece gli emigrati inferiori alle rondini, alle grù che viaggiano in gruppi, e conoscono la meta cui intendono raggiungere, movono ignari e isolati verso spiaggie sconosciute; senza indirizzo e senza guida. – Nell’avvenire la scienza e la previdenza sociale potrà dare loro un indirizzo preciso e i mezzi per raggiungere lo scopo.

35. Nel passato gli Stati fornivano alle milizie armi di offesa e di difesa. Nell’avvenire lo Stato, il Comune, le grandi associazioni distribuiranno gli strumenti di lavoro e di produzione, macchine agricole e industriali, e ciascuno dovrà restituire al Comune, all’associazione, allo Stato, in denaro, in natura, in produzione, la mercede dovuta, quasi come spoglie opime della vittoria riportata, e come frutto del lavoro.

36. Nel passato, capitani, generali dirigevano gli eserciti, vigilavano ordinavano i lavori diversi nell’arte della guerra come argini, fortificazioni, fonderie d’armi e di cannoni. – Ora spetterà agli Scienziati, agli operai più provetti vigilare e dirigere i lavori nei campi, nello studio, nelle officine.

37. I più noti per moralità, per ingegno ed esperienza in ciascuna categoria sociale, o serie di mestieri, saranno eletti con suffragio dei cittadini e degli associati a capi per presiedere i lavori.

38. Ed ogni contadino, operaio, artista, industriale sarà retribuito secondo la sua capacità, secondo il lavoro eseguito.

39. Un giurì d’operai, eletti da operai nelle tre grandi funzioni dello Stato, potrà giudicare delle capacità e fissare il prezzo dell’opera; a ciascuno secondo la propria categoria, e ad ogni capacità secondo l’opera.

 

CAP. 14 – LA PROPRIETA’

 

1. L’uomo, che sulla terra ha la vista corta di una spanna, rare volte o mai, sa sottrarsi all’influsso dei fatti che colpiscono i suoi sensi, o dagli usi che lusingano i suoi interessi momentanei per levarsi ad orizzonti più vasti e cercare un ordine di cose più equo.

2. Quando io nella vita, mosso dall’amore, che mi ardeva pe’ miei simili, e pieno del concetto dell’ordine nuovo che vagheggiavo nella mente per rimediare alle miserie e all’ingiustizia della proprietà frazionata, volli applicare all’agricoltura il principio dell’associazione fra gli agricoltori, tutti si volsero contro di me, si fecero a gridare al socialismo, al comunismo; e contro di me sollevarono tutti i poteri dello Stato, accusandomi di voler distruggere la proprietà e la famiglia.

3. Ma io vi dico che questa sfera, dove non ho più nulla a temere, nulla a sperare dagli uomini, che mio intento era recare l’ordine ove tutto è disordine, l’equità dove ancora è ingiustizia, frode e rapina, l’unione dove è discordia; assicurare il lavoro dove imperano ozio, inerzia e la seguace miseria, tutelare il debole, il diseredato, e stabilire l’equa distribuzione del lavoro e dei frutti di esso là, dove tutto è monopolio, privilegio, dissenzione.

4. Sacra è per me la proprietà, come sacro è l’individuo, inviolabile la famiglia; la proprietà forma parte dell’individuo, che lo acquistò col lavoro, anzi è completamento ed ampliazione dell’individuo stesso.

5. La proprietà è un diritto; ma varie sono le esplicazioni di questo diritto secondo le circostanze, i bisogni sociali, i tempi.

6. Vi sono tre forme principali di proprietà, che possono coesistere insieme ed esplicarsi: la individuale, la comunale, la sociale o collettiva.

7. Ora l’individuo o la famiglia, che sa e che può coltivare il suo campo, che ha mezzi materiali e morali per esercitare la sua industria, dirigere e far fruttare il suo opificio, ha diritto inviolabile di esercitare quest’industria per sé e per la sua famiglia, e la sua proprietà riesce utile a tutto il Comune.

8. Ma, accanto alla proprietà individuale, può sorgere la proprietà sociale. Più contadini o industriali possono mettere in comune i loro beni, in società i loro opifici, consociare il lavoro materiale e intellettuale, e, colle forze riunite, meglio ordinare il lavoro e accrescere la produzione.

9. Accanto alla proprietà sociale può ordinarsi la proprietà comunale e collettiva. – Vi hanno beni dello Stato, esistono poderi abbandonati e quasi incolti dai possidenti oziosi, vi sono miniere inesplorate, acqua da usufruttare.

10. Ora si possono ordinare dal Comune e dallo Stato associazioni di coltivatori, di operai, di industriali: ripartire il lavoro e diversi gruppi concedendo ad ogni gruppo il frutto delle proprie fatiche, accrescendo col lavoro collettivo il patrimonio del Comune e dello Stato.

11. La associazione, la collettività di alcune terre, di alcuni opifici non distruggono la famiglia, non soffocano l’attività individuale, ma la ritemprano e suscitano l’emulazione; non scalzano la proprietà, ma aprono l’adito alle sue molteplici manifestazioni, aumentano la ricchezza del paese

12. Che il principio d’associazione e di collettività si comincia ad applicare; se è vitale non tarderà a svilupparsi per virtù propria e per l’interesse degli individui e delle masse.

13. Come le banche di credito ricevono il denaro di più persone per rimetterlo in circolazione, così vi saranno banche di case di lavoro per rimettere in circolazione i capitali di lavoro manuale e le vaste proprietà.

14. Nella società presente tutto è frazionato; ciascuno è come armato contro il suo simile. – Le armi non sono più il coltello e il fucile, ma l’intrigo, la frode, la calunnia. – Ciascuno lavora isolatamente, e fonda il proprio vantaggio sul danno altrui.

15. Le forze sperperate si consumano, si logorano. – Esse saranno reintegrate nel nuovo ordine economico, dalla solidarietà comune, dalla fratellanza. Perrochè egli è sull’ordinamento economico e sulla collettività d’interessi che si fonda anche il mondo morale e religioso.

16. L’unità, che domina il mondo dello spirito deve presto o tardi coronare il mondo economico.

 

CAP. 15 - IL CAPITALE.

 

1. Il contadino povero, il proletario, lo stesso piccolo possidente come potranno essi associarsi, prosperare, se loro manca spesso l’istrumento del lavoro, il capitale?

2. Procurarsi il capitale, mezzo di lavoro, è il perno del problema economico. Ma questo problema non è che conseguenza di un errore, e nasce dal falso concetto che altri si forma del capitale.

3. Che cosa è infatti il capitale?

4. I vostri economisti disputano da gran tempo per definire il capitale, e non ci sono riusciti ancora. Chi dice sia la terra, chi il metallo, chi il retaggio accumulato dagli avi, il censo, chi altra cosa.

5. La terra? Ma che cos’è essa se l’uomo non la coltiva? Un deserto, talora la maremma, il lido sabbioso del mare, la malaria. - Il metallo? Il suo valore oscilla secondo la maggiore o minore produzione; è un segno convenzionale di valore, non un valore per sé stesso.

6. L’eredità, il censo avito? E’ spesso l’ingiustizia avita e secolare, retaggio dell’avarizia o dell’inganno, parte di un privilegio o di un diritto contestabile, che oggi si proclama sacro e inviolabile, domani, quando incominci l’epoca di equazione e di giustizia sociale, può venire diminuito ed eliminato, come quello dei maggioraschi.

7. Ora il capitale deve essere una forza, una potenza in sé, non soggetta a circostanze fortuite, in balia al capriccio degli uomini e del tempo.

8. E il vero capitale fu e sarà sempre, non una forza incerta, straniera a noi, ma noi stessi. – Vero capitale sociale è l’uomo; l’uomo che lavora, pensa e sente.

9. L’intelligenza sicura e vasta, il Braccio forte, il Cuore nobile, ecco il capitale, ecco i veri ed esterni fattori della pubblica ricchezza.

10. Questi elementi sono talora suddivisi, sperperati in vari individui. L’uno ha l’intelligenza, non ha la forza, altri la forza, non l’abilità, non la destrezza; altri hanno la passione, il genio, non l’energia, il senno, la conoscenza della vita. Ma accade talvolta, che queste facoltà si trovino concordi riunite in un solo individuo. L’uomo superiore; allora formano il capitale dei capitali, il tesoro d’una famiglia, il genio d’un popolo, il sole che illumina una civiltà.

11. Gli uomini superiori, che stampano un’orma incancellabile negli annali della umanità e creano una civiltà, come Corfuccio, Budda, Mosè, Solone, Socrate, Giulio Cesare, Dante, Michelangelo, Galileo, Newton, Washington, questo il tesoro di una nazione, questo il capitale più produttivo dei secoli.

12. L’uomo essendo il capitale produttivo, tutte le aristocrazie, le teocrazie, i dispotismi che altri si sono mai prefisso sinora, che cosa hanno tentato? Impadronirsi dell’uomo, asservirlo, usufruttarlo.

13. Si accesero guerre feroci per accrescere la copia dei sudditi. Si sottomisero milioni d’uomini per ispremere il tesoro dei loro sudori. – Il despota occidentale anela conquistare milioni di sudditi per satollare la cupidigia dell’oro, come l’orientale chiude centinaia di donne nel serraglio per satollare la libidine dei sensi.

14. L’uomo-capitale ed istrumento di lavoro per produrre ricchezza, e la donna istrumento di voluttà.

15. Tale il segreto, lo scopo di governo nel mondo antico, e in gran parte nella società moderna, che falsamente si appellò Cristiana.

16. Ma ora si solleva una voce dal cuore dell’umanità, scrollando i falsi altari che fanno sostegno al trono, grida:

17. Uomo, re della natura, donna, corona e luce della creazione voi non sarete più vittime della violenza e dell’avarizia, non più giuoco e trastullo a capricci e a libidini bestiali. – Voi appartenete a voi stessi”.

18. Dio creò ciascuno re di sé stesso. Non deve servire che al proprio dovere, e al Dio infinito.

19. Uomo e donna recano in sé il proprio capitale, con l’intelligenza, la forza, la grazia, la bellezza, la virtù degli affetti.

Ciascuno obbedisce alla vocazione a cui fu chiamato dalla natura e che dalla educazione fu svolta ed afforzata. - Ciascuno è figlio dell’opera sua, appartiene a sé e alla società .

20. Nelle opere del genio, dell’intelligenza, della forza, ciascuno reca a sé il proprio destino, porta il suo tributo alla città e ne assicura l’avvenire.

21. Uomo e donna, liberati dal giogo delle caste, dal capriccio dei despoti, consociatevi nel lavoro, e diverrete utili a voi, sorgente inesauribile di ricchezza e di progresso alla patria e alla umanità.

22. Quanto più l’individuo è operoso, intelligente, sano moralmente e fisicamente, tanto più si accresce il capitale della Società, e la nazione fiorisce e si fa forte.

23. L’Evangelo falsificato dice: Ecco il giglio, non lavora. Quale veste più leggiadra della sua? Ora io vi dico nel lavoro è la vita; colla virtù del lavoro si

accresce prosperità alla patria e si conquista il regno della terra e del cielo.

24. Il falso Vangelo ti additava, come tipo umano, l’uomo torturato, oppresso, cinto di spine, coperto di piaghe e diceva, calpestandoti ed umiliandoti : “Ecco l’uomo”.

25. Io ti rialzo, ti rendo la coscienza, la dignità e ti corono re della creazione, supremo produttore dopo Dio, non soggetto che al dovere ed alla legge di verità e giustizia. Ti dico, tu capitale, tu ricchezza della natura. Tu forza, tu focolare di magnanimi affetti, tu mente, tu intelligenza, che abbraccia il creato, e levasi all’infinito. Ha la terra sotto i piedi misura i cieli col pensiero, “Ecco l’Uomo”.

 

CAP. 16 - IL GOVERNO – QUAL FU SINORA, QUALE E’ IN EUROPA?

 

1. La famiglia, il comune, la città, le associazioni, gli elementi economici e produttivi di un popolo sono altrettante forze disgregate, che volgerebbero, a guisa di ruote isolate, intorno a sé stesse, ove non si trovasse una forza superiore per collegarle insieme, imprimere loro un movimento e indirizzarle verso una meta.

2. Qual è questa forza dirigente, quale la meta?

3. Tale forza fu detta in ogni tempo Governo, Stato; la meta variò sempre, secondo i tempi, i bisogni e le tendenze delle civiltà.

4. Lo Stato fu per lo più costituito per la conquista, per la lotta a beneficio di pochi, che usufruttarono del lavoro, del sangue, delle ricchezze del maggior numero. – Re, sacerdoti, e alcuni privilegiati disponevano al loro talento dei popoli, e a loro talento li condannavano a’ lavori servili, alle fatiche dei campi, ai cementi delle battaglie.

5. Obbedire al capriccio d’un uomo fu detto disciplina; lasciarsi guidare silenziosi al macello, fu detto ordine.

6. Ma l’uomo nato per essere libero, insorgeva pur sempre contro questa disciplina, e l’ordine si mutava in guerre intestine e in furori di popolo.

7. I Governi si appellarono con nomi diversi; ora Oligarchia, ora Teocrazia, ora Monarchia, ora Repubblica, ma il principio fu sempre identico e pressoché uguali le conseguenze.

8. Da venti secoli governi e popoli si aggirano in questo circolo senza mutare modo. Pochi, che impongono l’ordine e si fanno padroni del governo con la forza, colla colpa, o l’inganno, molti che cospirano, o si sollevano per iscrollarlo. Da una parte e dall’altra scorrono torrenti di sangue, e noi vediamo violenti repressioni tener dietro e avvicendarsi ad insurrezioni furibonde. - - E in questa orribile vicenda di rivoluzioni e di reazioni, sono sempre sacrificate le masse, e gli operai, che dopo essere stati strumenti in mano a pochi ambiziosi vedono mancare il lavoro: mentre poi la società disperde in un giorno le ricchezze accumulate nel lavoro di più anni.

9. Alcuni popoli, vedendo come nella società umana era necessità ineluttabile, fatale il contrasto e l’opposizione, accettarono l’antinomia, il contrasto, come fondamento e congegno di governo e ne sorse il sistema Costituzionale.

10. A che si riduce il sistema Costituzionale, che governa a questi giorni gran parte dell’Europa? Esso consiste nell’applicare il male come rimedio, a guisa dell’emeopatia che vuol combattere il male col male; come il medico tenta di preservare dal vajuolo innestando il vajuolo.

11. S’innestò nel corpo sociale l’opposizione, l’antagonismo in permanenza, e col disordine si volle creare l’ordine. Ma, come era da aspettarsi, il sistema servì a demolire, non ad edificare, a distruggere, non a creare.

12. E’ la negazione, che prende forma di dogma, la critica sostituita all’affermazione; è la diffidenza elevata a sistema di governo. E colla diffidenza altri si argomenta di poter governare le masse, evangelizzare, moralizzare gl'individui?

13. In siffatto sistema, i ministri diffidano del re; il re delle Camere; la Camera vitalizia della Camera uscita dal suffragio popolare; in questa poi un partito diffida dell’altro partito, che a sua volta si suddivide in più gruppi; i gruppi in individui, che si osteggiano a vicenda; ciascuno diffida del popolo di cui si dice rappresentante, e il popolo, a sua volta, diffida di tutti.

14. Avviene quindi, che chi siede al timone di un Governo, sia re o Presidente di Repubblica, non può consacrarsi al bene generale del popolo, né alle grandi cure dello Stato, ma è per lo più costretto a logorare le sue forze per mettere d’accordo i diversi partiti, consuma tempo e lena a bilanciare i poteri, equilibrare le forze contrastanti e finisce per largheggiare di favori non ai buoni, ma agli audaci, ai facinorosi, ed innalzare, non gli intelligenti, ma gli intriganti, governando col partito e pel partito, non col popolo e pel popolo.

15. Non è cotesto un governo stabile, elevato, imparziale, ma un meccanismo disordinato, un’altalena, un sistema di sottintesi, di finzioni, di debolezze, un fornicolaio di lotte sorde, meschine, codarde, in cui ciascuno cerca di attaccare il vicino e di guarentirsi da’ suoi colpi.

16. E ciascuno s’industria di ordinare l’attacco e stabilire la difesa: le forze in queste continue preoccupazioni si paralizzano, si logorano in guerre meschine, il che genera l’impotenza nell’alto, il malessere, lo spirito di rivoluzione nel basso, le diffidenze, l’opposizione dappertutto.

17. Si volle fondare un governo di finzioni, si volle creare l’ordine col disordine, l’accordo coll’antagonismo? Si seminò il disordine in permanenza e si raccoglie la rivoluzione, a periodi determinati o in permanenza.

18. Ora gli antichi elementi, che costituivano la forza e il prestigio del governo sono logori e sfatati. – Le aristocrazie snervate e corrotte, il clero più non crede, più non insegna, e, se insegna, pochi credono o nessuno alle sue dottrine; sopra la rovina di costoro si insediò una borghesia gretta, triviale, diffidente, e avara, in cui ciascuno pensa a sé, e nulla vede al di là dei propri interessi. E il popolo, privo di guida, si agita, mormora, cospira, insorge.

19. Poteri privi di tradizioni e di radici, quindi senza appoggio nelle masse; libertà senza scopo sociale e infeconda; governanti, che si affannano in continue gare di portafogli; nave senza governo abbandonata a tutti i venti, senza nessun porto in vista. Ecco a che sono giunti per gran parte gli Stati d’Europa.

20. Ora, è governo, è governare codesto? Governare significa dirigere, reggere, provvedere col pensiero e con l’opera. Come dirigere? Quando non si ha alcun concetto preciso né del proprio dovere, né della propria metà? A che si vuol riuscire? Come provvedere al paese, quando non si pensa che a sé, non si curano che le proprie ambizioni, i propri orgogli e i rancori privati? – Pure fu questo proclamato, come il sistema perfetto e l’ultimo portato della esperienza politica, della scienza civile.

21. Qual rimedio recare ai danni, che questo sistema di antagonismi e di finzioni vennero accumulando sui popoli d’Europa?

 

CAP. 17 – IL GOVERNO. QUALE DEVE ESSERE

 

1. Coll’uscire dalla finzione, ed entrare nella realtà.

2. La finzione, anche per confessione dei più sapienti politiconi, è il sistema costituzionale, la realtà è il popolo, il paese, i grandi principii di virtù cittadina, di forza dirigente a scopo sociale.

3. Sorgente inesauribile di forze è il popolo, il paese; ma queste forze, che contrapposte le une contro le altre, si consumano a vicenda, conviene ordinarle perché si accordino e armonizzino, e sulla loro armonia si possa fondare l’unità dello Stato.

4. Queste forze si possono ridurre e riassumere a tre principali : Forze materiali, intellettuali e morali. Sono questi i tre aspetti della vita individuale, come della sociale.

5. Queste forze nella vita individuale, si riducono a tre leggi, che abbracciano l’essere sociale: a legge industriale, la intellettuale e la morale. La prima, costituisce il mondo economico, commerciale e regge gli operai, i trafficanti, gli uomini d’azione; la seconda, costituisce il mondo intellettuale comprendendo gli scienziati, gli uomini di pensiero; la terza costituisce il mondo delle passioni, ed è composta dagli uomini di cuore, di genio.

6. Ora, quale è lo scopo che ogni buona società e che ogni provvido governo deve proporsi? Il miglioramento economico, intellettuale e morale del popolo e del paese. – Per ottenere tale scopo conviene adoperare le forze, che la natura presenta, i mezzi che il paese possiede e coordinarli alla meta.

7. Il governo fu sinora un arte affidata a pochi oziosi, che facevano l’arte per l’arte, il governo pel governo. Ora il governo deve essere innaturato nel popolo, emergere da’ suoi bisogni, compenetrarsi delle sue aspirazioni. – E’ la risultante del grande corpo sociale.

8. La società è composta di industriali, di scienziati, di artisti. – Lo scopo, che si propone ogni società è, di accrescere le ricchezze col promuovere le industrie, aumentare la scienza coll’ordinare la istruzione e l’educazione delle masse. Di unire gli animi infiammarli alle opere buone, al bello, al grande con le lettere e con le arti, e, per mezzo di esse, associare la forza materiale coll’intellettuale, l’opera col pensiero, la scienza coll’industria e tutto accordare nell’affetto reciproco e nella legge d’amore.

9. Ma tale scopo non si otterrà mai coll’affidare il reggimento delle cose pubbliche a chi si tenne estraneo alle industrie, ed è profano alle arti ed alle scienze. Converrà quindi rivolgersi acoloro che vissero in esse e per esse, a tali che si consacrano al culto delle scienze, delle industrie e delle arti.

10. Il governo non deve essere una finzione, ma una realtà; non affidarsi a chi è alieno dalla vita pratica, dal paese, vive disgregato dal popolo che lavora; non cercare una rappresentanza puramente legale e di apparenza, ma sociale e reale.

11. Però conviene chiamare alla testa del governo i più esperti fra gli industriali, i più insigni fra gli scienziati, e gli artisti più capaci e accesi di nobile affetto pel vero, pel bello, pel buono.

12. Il Sapiente, potrà allora studiare i grandi problemi sociali, affrontarli, risolverli e manifestare ciò che ciascuno deve compiere per il bene comune.

13. L’industriale si adoprerà ad applicare la scienza, a produrre e mettere a portata di ogni classe i mezzi materiali per soddisfare ai bisogni economici.

14. L’Artista, che farà l’ufficio del vero sacerdote nell’avvenire, apostolo di fratellanza, e di verità sarà vincolo di unione fra lo scienziato e l’industriale, il teorico e il pratico, l’ideale e il reale; li associerà insieme, e volgerà ad uno scopo identico il lavoro ed il pensiero, suscitando gli affetti generosi del cuore, e avvivando l’amore della famiglia, della patria, di Dio.

15. La società, prefiggendosi di ottenere il migliore sviluppo delle facoltà umane, deve appellare alla direzione gli uomini più eminenti, cioè i primi fra gli industriali, gli scienziati gli artisti.

16. Ma chi potrà giudicare i primi, i più capaci? Qual’è la virtù, che nelle milizie sa distinguere e scoprire i più coraggiosi, i più esperti, e solleva grado a grado il semplice soldato ai sommi onori di generale? Il merito personale.

17. E il merito personale deve trovare degno premio in una società bene ordinata. – Le elevate speculazioni filosofiche, dello scienziato, l’operosità, la onestà di un grande industriale, il genio d’un artista emergono in ogni luogo, e svelano alle masse la luce di cui rifulgono.

18. E i membri di ciascuna professione, od arte, o scienza dovranno eleggere, a suffragio universale, il proprio capo, e certo la scelta cadrà sul più previdente e distinto; i capi delle varie professioni diverranno capi della città e del Comune, e questi uniti, potranno eleggere i rappresentanti nella nazione.

19. Il più eminente fra gli scienziati, gli industriali, gli artisti sarà chiamato a vegliare sul progresso delle industrie, dell’istruzione della moralità; e questi tre formeranno una specie di triumvirato elettivo, posto a capo dello Stato.

20. La società, come è uscita dal feudalismo del medio-evo, cos’ deve uscire dal feudalismo borghese. – Come divenne ridicolo il privilegio della nascita, così conviene abbattere quello del censo.

Prima si diceva; il patrizio sarà magistrato o generale. – Ora si dice: è ricco, sarà deputato o ministro.

21. Non è la nascita o la ricchezza, che siano guarentigia di moralità e di capacità per reggere i destini di un popolo.

22. Nascita e censo sono finzioni sociali, opera del caso. – Convien abbandonare il principio del potere che emerge dal privilegio, per instaurare il principio naturale e razionale, che attribuisce la potenza alla capacità, e distribuisce le diverse cariche a chi ha senno e attitudine per sostenerle. Più può chi più sa.

23. A tali criterii deve ispirarsi la legge, svolgerli, applicarli nell’ordinamento della cosa pubblica.

24. A tali criterii deve la legge attenersi nel graduale ordinamento dello Stato. – Cominciare dalla scuola coll’educare il fanciullo, secondo la sua vocazione; poi classificarlo nei successivi gradi, quando entra nella vita pubblica e pratica, secondo la sua capacità; infine retribuirlo e chiamarlo colle elezioni alle più rilevanti funzioni, secondo le sue opere. Per tal modo si potrà costituire la società, non secondo criteri fortuiti e finzioni, ma secondo la realtà, seconda la natura e secondo la giustizia.

 

CAP. 18 - LO STATO

 

1. I più eminenti fra gli scienziati, gl’industriali, e gli artisti, eletti dal suffragio popolare, saranno chiamati ad essere i rappresentanti della nazione e ministri, e a coprire cariche speciali nel comune, nella città, nel governo centrale.

2. Lo Stato, che rappresenta l’intero popolo ed il complesso della attività nazionale, deve avere una rappresentanza stabile la quale ne armonizzi le diverse parti, e ne affermi , ne consolidi la unità.

3. Questa rappresentanza, che in sé integra la unità di popolo, può essere un Presidente elettivo o un Monarca.

4. La questione tra monarchia e repubblica è divenuta una questione oziosa, abbandonata alle vacui aringhe e sproloqui di declamatori vanitosi, di ciurmatori di piazza e di corte, e di arruffapopoli.

5. L’economista, il vero politico, il pensatore deve mirare allo scopo sociale, non alla forma; e, in quanto a forma, la monarchia può consentire tanta larghezza di libertà quanto la Repubblica, e questa può volgere a corruttela più rapida, che non la monarchia.

6. La virtù non risiede nella forma di governo bensì nella sostanza di un popolo. Però, mirando alla sostanza, più che alla forma, e alle circostanze, un presidente elettivo è da preferirsi negli Stati già saldi , ordinati, sicuri e forti di antica unità. – La monarchia presenta maggior guarentigia di stabilità e di libertà negli Stati deboli e nuovi.

7. E’ pericoloso ad un popolo spezzare d’un tratto le sue tradizioni, quando esse corrispondono pure ai bisogni della vita sociale.

8. Talora, come d’un tratto vediamo sollevarsi un uomo, che riassume in sé il genio d’una nazione, quale guerriero o quale scienziato e artista, così la Provvidenza suole suscitare una famiglia, la quale porta in sé i destini della nazione, e sa identificarsi con questa, e ne è l’anima.

9. Tale fu la famiglia di Giulio Cesare nell’antica Roma, la stirpe di David fra il popolo Ebreo, che si continuò di età in età, sotto forma di guerrieri, di profeti, di capipopolo, di Redentori, di Lazzari; tale quella dei Carlovingi in Francia, e degli Annover in Inghilterra. – Queste famiglie si riconoscono dal suggello, che loro stampa in fronte la Provvidenza, dalle orme, che i loro discendenti di età in età imprimono sulla terra e negli annali del popolo.

10. Queste famiglie si illustrano e prosperano, quando rispondono al mandato loro imposto dai secoli, e decadono quando lo falsano e lo dimenticano.

11. Queste famiglie s’innalzano e risplendono, quando sanno comprendere i bisogni e le aspirazioni della loro nazione; ma quando, chiuse nell’egoismo, solo curano i propri interessi, i proprii piaceri, i privilegi, la conservazione della propria dinastia, allora sono abbandonate ad un tempo dal popolo e dalla Provvidenza, rovina il loro trono ed esse, prive di sostegno, finiscono sul palco o nell’esilio.

12. Ora in Italia, mentre le diverse dinastie, che tennero il regno e non corrisposero al voto nazionale, furono cancellate dal novero dei regnanti, una ne scampò, la quale, dal primo momento all’ultimo, fu fedele al mandato affidatole, e seppe in sé compendiare i destini della nazione.

13. Essa interpretò la Vocazione, a cui era chiamata; ebbe capacità e forza per affermarla e continuarla con le gesta e con l’opera. – Così sui campi di battaglia, come nei consigli dei ministri e dei diplomatici seppe compierla, suggellarla.

14. Essa, anziché ripetere dal caso i suoi destini, fu figlia delle opere sue, e fu chiamata a reggere le sorti della nazione, non da privilegi, ma dal voto del popolo, che è quello di Dio.

15. E Dio, dopo aver consacrato nella rinnovellata dinastia il suo nome ; Emanuello, lo guidò di impresa in impresa, di lotta in lotta, dalle Alpi al Campidoglio, facendo di un’Italia schiava e divisa, una nazione libera e unita.

16. Il popolo lo seguì, lo giudicò nella lunga e fortunosa serie delle opere sue, né può obliare la dinastia di Emanuello senza ingratitudine, abbandonarla senza danno, e senza discordie cittadine.

17. Emanuello, fu il nome sacro, che ha chiuso il mondo antico, aspirando alla liberazione dei popoli oppressi, all’ordinamento delle nazionalità – Emanuello, è il nome che apre l’epoca nuova, coll’inaugurare le nazionalità, armonizzando i popoli fra loro.

18. Seconda aspirazione, dopo la liberazione e indipendenza dei popoli oppressi, è l’elevazione degli umili diseredati, la fratellanza di tutti; ed è questo il secondo periodo, cui pensatori e principi sono chiamati a dischiudere col secolo che si rinnova, fondando su di esso i nuovi tempi edificando la terza Roma della fraternità e della pace.

 

CAP. 19 - GRAVITAZIONE COSMICA – GRAVITAZIONE MORALE

 

1. La legge di gravitazione, da cui è retto il mondo fisico, domina del pari il mondo morale e umano.

2. La gravitazione cosmica collega gli astri in un sistema di azione e di reazione reciproca e produce quell’armonia, che compenetra e regge l’universo.

3. La società, mossa da passioni contrastanti, spinta attraverso le molteplici fasi di riscosse e di cadute, finirà per riprodurre in sé l’armonia del mondo fisico.

4. La famiglia, la tribù, il comune, la città, la nazione, lo Stato formano altrettanti gruppi distinti, che cercano di attaccarsi a serie vicine ed affini, come molecole distinte, per tendere poi a meta più elevata.

5. Per tal guisa l’individuo è avvinto alla famiglia, questa si aggira intorno al comune, comune è la città intorno alla nazione, la nazione intorno alla umanità. Ciascuno move libero di sé e tende ad armonizzarsi col tutto.

6. Ma questo è moto meccanico, è gravitazione fisica; accanto ad essa esiste una gravitazione morale, meno sensibile ma più poderosa, che forma il sistema dei sistemi, e diviene l’anima del sistema stesso.

7. Gli astri, è ormai un vero scientifico acquisito tendono verso una regione incognita, infinita, verso un centro, sorgente d’ogni luce, focolare di attrazione universale.

8. Questa incognita, verso cui tutto tende, gravita e si sente attratto, è il sole d’ogni sole, la luce di ogni luce.

9. Ciò che è meta superna, a cui tendono gli astri, che si movono nello spazio, per l’uomo, per le Società, che vivono nel tempo, diviene tempio, religione, Dio.

10. Ciò che è forza e legge di gravitazione, che unisce, rilega, armonizza gli astri nello spazio, diviene nel tempo, passione, religione, che unisce gli uomini, gli rilega fra loro, per poterli spingere a più vasta meta nelle sfere infinite dello spazio e del tempo.

11. Inoltre l’uomo, non solo è legato alla società, ma per la sua organizzazione è avvinto alla Natura che lo circonda. Egli ha bisogno di determinare i suoi rapporti col mondo, scoprire i destini a lui segnati nel sistema generale, e quindi penetrarne le origini.

12. La Sociabilità lo lega all’uomo. Ma la forza che lo avvince alla Natura e lo spinge a cercare le origini, è un bisogno più elevato e diviene religiosità.

 

CAP. 20 - LA RELIGIONE

 

1. La religione è forza sociale, che avrebbe dovuto legare, unire insieme gli uomini; come la gravitazione cosmica unisce quasi in una famiglia gli astri, e volgerli, armonizzarli verso l’infinito divino.

2. La religione è passione ad un tempo e pensiero; stimolo che penetra nel cuore o acuisce l’intelletto, per invogliarci a scrutare il mistero della vita, e trovarne la parola.

3. Simbolo e sacramento principale della religione doveva essere la comunione degli animi in uno spirito, in un Vero, per sollevarli verso l’ente degli enti, verso Dio.

4.Questa è l’essenza, il fondo indistruttibile d’ogni religione.

5. Ma il principio, uno in sé, assume forme diverse, e si divise e scisse in manifestazioni svariatissime attraverso i secoli e i popoli.

6. Questa è l’essenza, ma l’uomo, combattuto da un lato dalle sue passioni, dall’altro circondato da una natura, che nella molteplicità de’ suoi fenomeni le domina, lo alletta, lo atterrisce, si fermò spesso ad adorare le parvenze, da cui il suo cuore e la sua fantasia erano colpiti e le scambiò col principio e con la essenza stessa delle cose.

7. Quindi la varietà di religioni e di culti, per lo più creati dalle diverse passioni che agitarono il cuore umano e dalle molteplici sensazioni, che nell’uomo produssero i fenomeni naturali.

8. L’uomo adorò spesso le proprie passioni, le sue sensazioni, i suoi desideri e perdé di vista il Dio infinito, universo; e adorò i fenomeni della natura che colpirono i suoi sensi, nel mondo vegetale, animale, sidereo, noncurando il principio universale da cui quelli derivano, e in cui sono unificati.

9. Ma queste furono finzioni, simulacri illusori, non verità, furono superstizioni, non religione.

10. Sciogliti dai lacci dell’illusione per cercare il reale, delle religioni parziali per elevarti alla religione, dal fenomeno passeggero per inalzare a mente all’essenza immutata e eterna, che è la religione delle religioni.

11. A lui devi risalire, imperniati in lui, intuirlo meditarlo col pensiero, e l’evidenza ti darà la nuova fede.

12. Studia Dio nelle sue opere. – Comprendendo l’universo arrivi a comprendere Dio; l’universo è il vestigio vivente della divinità.

13. La scienza è il vero culto. – Il pensiero nobile e culto è la fiamma, è l’altare fumante che ci solleva a Dio; la scienza è la bibbia vivente. Le sue pagine, sono l’astronomia, la geologia, la chimica, la fisica, la meccanica, la filosofia. In esse tu segni tappa per tappa, creatura per creatura il concetto di Dio; in esse, è il salterio che ti eleva, grado a grado, al firmamento.

14. La moralità, che affina e purifica, la scienza, che svela il mondo della natura ella sua magnificenza, sollevano l’animo dall’intuizione di un bene più perfetto, di forme più eccelse progressivo ci porge le grandi ispirazioni dell’arte.

15. L’arte – che prende le mosse dal finito, e ci offre l’immagine dell’infinito; che posa sulla terra, e spiega al nostro sguardo orizzonti vastissimi colla poesia, colla musica e colla plastica, e con esse ci educa al culto del bello, del buono del vero.

16. La morale, la scienza, le arti belle, ecco il nuovo sacramento che ci rende puri, sapienti e santi, accomunandoci più e più colla somma bontà e colla somma sapienza, colla giustizia infinita.

17. E’ questo il dogma della religione futura; essa ci svela la natura nella varietà delle sue leggi, l'anima umana nella intimità della sua coscienza, nel fuoco del suo amore, e nella sua elevazione verso l’infinito. – Tale dogma: e il culto, che a lui corrisponde, deve esserne la espressione; la manifestazione esterna.

 

CAP. 21 - IL NUOVO CULTO

 

1. Dio è tutto intelligenza – Ufficio del culto sarà educare il pensiero umano alla scienza della natura e delle sue leggi, per armonizzarlo colla stessa natura. Il dualismo tra natura e uomo deve essere per dar luogo alla comunione del pensiero, che a traverso la natura, si eleva a Dio.

2. Dio è giustizia e bontà. Ufficio del culto sarà sviluppare nel cuore umano e nella società il sentimento d’equità e di bontà, l’abitudine delle opere buone, avviare il fuoco delle nobili passioni, scoprire in noi la parte del divino; talchè il divino; nella sua essenza, scenda ad abitare in noi, e noi impariamo ad elevarci ad esso.

3. Mezzo potente di elevare le nostre menti al sommo bene e alla sapienza infinita saranno le arti; la parola ritmica e misurata, che corrisponde alle leggi armoniche del Cosmo, al ritmo dell’idea; la melodia dei suoni, l’armonia dei colori, la purezza delle forme, la fiamma delle nobili aspirazioni, cioè poesia, pittura, scultura, musica, eloquenza; ecco i simboli, i misteri del nuovo culto per elevare le menti, educarle a nobili sensi d’amore verso la patria, l’umanità e Dio.

4. Scienza, morale, arti belle, sono il culto, il dogma, i riti della nuova fede. Quale ne sarà il sacerdozio?

 

CAP. 22 – IL NUOVO SACERDOZIO

 

1. Sinora il sacerdozio, così nel mondo pagano, come nel cristiano, formava una classe a casta a parte, era una società nella società, uno Stato nello Stato. Bastavano alcuni segni mistici a consacrare il prete, il quale, ottenuta quella consacrazione, cessava di appartenere a sé, alla patria; non apparteneva che alla sua sola casta e alla Chiesa.

2. Questa fu una delle cause della scissura che divise la società laica della sacerdotale, lo Stato della Chiesa, nei tempi moderni.

3. In una Società, in cui è abolito il privilegio di casta e di nascita, il prete non può più formare classe appartata alla società civile; il principio di unità, fondamento del dogma, deve estendersi al culto; al principio del privilegio, deve sottentrare quello naturale e razionale.

4. Ed il principio naturale è quello dell’attitudine, della vocazione. Il vero sacerdozio si disse venire da Dio – Ora è Dio, la natura, che desta il genio e lo consacra.

5. L’uomo di alto cuore, di genio superiore, di sublimi inspirazioni è pieno del divino; esso sarà il sacerdote dell’avvenire.

6. La provvidenza stampa sul fronte dell’uomo di genio un suggello incancellabile. E’ la corona luminosa che avvolgeva il campo di Mosè, dei profeti, aureola che circonda la testa di Cristo.

7. Sinora l’uomo di genio fu segno alle ire dei potenti. - Nella civiltà passata genio divino significò martirio. Così furono perseguitati ed arsi Giovanni Huss, Savonarola, Arnaldo da Brescia, Giordano Bruno ed altri molti. Ma il popolo riconosce la loro potenza, e segue con entusiasmo i loro passi sulla terra e grida: In essi è Dio!

8. Quindi il grande artista, il quale sa cercare le fibre del cuore, e colla parola, colla grazia, colle ardenti immagini del pensiero esercita un fascino benefico sulle masse, diviene centro che attira gli animi, li associa, li rilega – desso è l’uomo religioso per eccellenza.

9. L’uomo, il quale per la nobiltà e bontà de’ suoi pensieri, per la moralità degli atti della vita, suscita la riverenza e l’affetto dei cittadini, l’uomo che comanda, non perché impaura od impone colla forza, ma perché persuade ed attrae, che irrida intorno a sé l’amore, pronto sempre a consacrarsi al benessere del prossimo, e vive, non chiuso nell’egoismo, ma intento al bene ella città, dell’umanità, senza distinzione di razze o di sette, questo uomo è il sacerdote, questo è il prete dell’avvenire.

10. L’ufficio a cui è chiamato sarà d’insegnare a tutti ad amare la famiglia, la città, lo Stato, l’Umanità, di penetrare, studiare le leggi dell’Universo, ed elevarsi a Dio; suo ufficio sarà soprattutto, anziché dividere, come facevano le religioni del passato, di unire tra di loro gli uomini, essere vincolo di unione tra le varie attitudini ed arti, per consociare l’industriale collo scienziato, il lavoro col capitale, per modo che la città sia una nella vita, come deve essere unita ad un intento comune; - al miglioramento morale e materiale.

11. Questa potenza di conciliare e rilegare tra loro gli uomini, questa tendenza di accrescere il bene è innaturata, più ancora che nell’uomo, nella donna. Essa possiede in modo particolare la facoltà di amare, di consacrarsi a soccorrere altrui; essa ha nobili entusiasmi per ciò che è bello e buono e generoso. Quindi il sacerdozio appartiene tanto alla donna quanto all’uomo. Vi saranno sacerdotesse, come sacerdoti.

12. La donna deve trasformarsi con la nuova fede. Questa trasformazione, già iniziata nella vita sociale, con l’educazione prodigata alle fanciulle e coll’ammissione della donna in alcuni pubblici uffici, conviene compierla, coll’infondere in lei lo spirito della nuova fede e additarle i nuovi doveri religiosi e sociali, che le sono imposti.

13. questi doveri devono corrispondere con le sue facoltà, ed essere conformi al suo organismo così diverso dal maschile; essa è creata per completare, l’umano, non per contraffare il virile.

14.Quindi l’ardua questione sulla donna, che si agita in quest’epoca, non è per nulla sciolta con la parola , ora in voga fra voi, di emancipazione. La emancipazione è principio negativo e dissolvente, e la Società invece vive principi positivi e durevoli.

15. La donna è dotata di facoltà positive al pari dell’uomo.

Tali sono la bellezza, la dolcezza, la grazia; inoltre essa possiede un fascino particolare, per cui domina le passioni della società, ed è l’occulto e più gagliardo movente a cui cede il cuore umano. Ma queste sue facoltà a che giovarono sinora nei consorzi sociali?

16. Furono usufruttate da pochi, o come strumento di piacere e di voluttà, o per pompe vanitose, per satollare i capricci degli oziosi e divenire mezzo di corruzione.

17. Sacerdotessa dell’avvenire, la donna potrà sedere e splendere presso l’altare coll’artistasacerdote, accendere gli animi d’amore per la famiglia, la patria, l’umanità; infervorire l’uomo alle nobili imprese, al lavoro, e compensarlo colla purezza del suo affetto, compiere l’uffizio principale imposto dalla religione attutire le ire, e unire, consociare le varie classi sociali.

18. Essa in modo più positivo ed elevato che non per lo passato in Italia, dovrà simboleggiare la gran Madre e la Vergine, questi ideali del popolo italico. La Vergine simbolo di purità, di affetto, di abnegazione; la Gran Madre, simbolo della potenza creatrice, che accoppia la bellezza alla forza, la grazia alla scienza; il sentimento alla ragione, Sacerdotessa, essa consacrerà con la parola e con l’affetto il tempio della sapienza, dell’armonia e della pace.

 

CAP. 23 – I PERIODI DELLA VITA

 

1. La scuola può fornire all’individuo l’istruzione materiale, insegnare la teoria; l’officina forma l’industriale, come l’Università lo scienziato, le istituzioni civili, i governi formano il cittadino, ma dalla famiglia, dalla religione, dipende la educazione dell’animo; sono queste lo stampo su cui si plasma il carattere.

2. Però tutte le religioni si sono sempre adoperate a consacrare certi momenti solenni della vita vollero imprimere in questi il proprio stampo e, in nome della fede, consacrarli per l’eternità.

3. Queste consacrazioni trasformarono l’uomo e la donna. Da semplice ente materiale qual’era, ne costituisce un ente morale e sociale, collegato del pari con la umanità e con Dio.

4. Questi momenti sono la nascita, la presentazione al empio, il matrimonio e la morte.

5. Il falso Cristianesimo, cresciuto fra le dottrine assurde dell’Asia e del paganesimo, aveva concepito, che l’uomo nascesse colla macchia del peccato, che conveniva cancellare con l’acqua del battesimo.

6. Principio erroneo e assurdo in massima, funesto nella pratica. Assurdo, perché contraddice al principio fondamentale invocato da Gesù, che non cessa di predicare Dio, Dio d’amore, di perdono, di giustizia, e ci presenta invece un Dio, che vendica la colpa del primo uomo su tutte le generazioni future.

7. Funesto nella pratica, perché con tal mezzo i preti crearono tutta un’officina d’inganni e di assurdità per distribuire indulgenze, vendere, trafficare messe e preci e accaparrarsi dominio e denaro.

8. Ora l’uomo nasce nel seno della natura, ingenuo, puro – fatto, come malleabile cera, che può prendere ogni forma. Spetta alla famiglia, alla Società imprimergli il suggello ella virtù e del bene.

9. Però la società, la religione, anziché condannare la natura sino alla nascita, deve invece ornarne la culla coi presagi più lieti e speranzosi; e, prima di tutto, svelare ala intelligenza dell’uomo la sua importanza, la sua dignità e i doveri imposti.

10. Il nuovo battesimo non sia di acqua lustrale, ma d’olio puro; l’olio lo consacri alla famiglia, all’Umanità a Dio.

11. Ciascuno è sacerdote a sé, e l’olio lo consacra sacerdote al Dio di rettitudine, di virtù e di pace.

12. L’olio è il simbolo di pace e di benessere, principio di fecondità e di ricchezza, sorgente di luce soave e serena.

13. Dopoché l’uomo, e anche la donna, avrà imparato i primi rudimenti delle lettere e delle scienze, si aprirà il secondo periodo della presentazione al tempio.

14. Egli coi primi studi avrà cominciato a comprendere le bellezze della natura, le meraviglie delle arti e delle scienze, l’origine, lo svolgimento della civiltà e delle religioni presso i vari popoli.

15. A tredici anni sarà presentato al tempio consacrato dallo Stato, e ivi dovrà scegliere il culto di cui intende partecipare, se il cattolico, il protestante, l’ebraico, il buddista, o se alla religione dello Stato, cioè alla religione delle religioni e del Dio infinito.

16. Il matrimonio è contratto religioso ad un tempo civile. Uomo e donna si uniscono per continuare nei secoli l’opera sociale e la divina; per procreare e accrescere la vita. Quindi da un lato è istituzione umana e caduca, dall’altra divina ed eterna.

17. Questa impronta divina , che ha in sé il matrimonio, lo consacra per secoli; ma siccome debole e caduca è la natura umana e la libera volontà è legge, che domina la nuova società, non conviene imporre unioni coatte, le quali offrirebbero triste spettacolo ai figli e amareggerebbe la vita dei coniugi. Quindi dovrà ammettersi il divorzio.

18. Conviene però che il divorzio sia circondato da molte cautele prima che sia concesso; e vuol essere considerato come una immoralità, così che la pubblica opinione si aggravi sopra coloro che ne danno esempio.

19. Le esequie siano modeste, solenni ed eguali per tutti i cittadini.

20. La bara, prima di essere portata al cimitero, si deponga sulla pubblica piazza. Ciascuno possa pubblicamente prendere la parola sul defunto per tessere gli elogi della sua vita, per condannarlo o per difenderlo. Il giorno della morte segna la sentenza della vita; il giudizio umano e quello del popolo, precede il divino.

 

CAP. 24 – IL CULTO DELL’INDIVIDUO

 

1. Il tetto domestico deve riguardarsi come un tempio, e inviolabile del pari.

2. Una stanza deve essere consacrata al culto domestico e alle preghiere.

3. Il culto deve essere semplice e raccolto.

4. I salmi sono e saranno le eterne preghiere del genere umano, sia come eco possente, delle aspirazioni dell’animo in ogni tempo ed in ogni luogo.

5. Vi saranno preghiere pubbliche ad ore e giorni fissi per elevare gli animi al cielo, ed è questa la comunione sociale. Vi saranno preci individuali, domestiche, in cui l’individuo e la famiglia si associano elevandosi in ispirito a Dio.

6. Sarà questa la preghiera; che si innalzerà mattina e sera all’Eterno;

7. “Sommo architetto dell’Universo, Eterno, Infinito ed Uno! A Te ascenda la mia preghiera. Io Ti imploro con tutto l’essere mio; schiudi la mia mente al sapere, talchè possa comprendere le grandi opere della creazione, scoprirne le leggi, e amarti in esse. Apri il mio cuore agli effetti più puri e caritatevoli, perché possa seguire le vie della bontà, della virtù, della giustizia. Reggi le mie forze, onde col lavoro delle braccia e del pensiero possa guadagnare il pane quotidiano per me, per la mia famiglia, pei deboli e pei bisognosi. Bandisci il male dalla terra e affretta il giorno della pace universale, in cui i popoli formino una sola comunione e l’umanità sia una, come Tu sei Uno. – E così sia”.

 

CAP. 25 – IL TEMPIO

 

1. Come vi sono luoghi di preghiera in ogni casa, templi in ogni comunità o manifestazioni religiose, sia cattoliche che protestanti, buddiste ed ebree, così vi sarà nella città un tempio per il culto generale; il culto della Nazione e dell’umanità.

2. Lo Stato non può rimanere straniero alle grandi manifestazioni religiose e morali.

3. L’uomo non può scindersi, né essere o tutto corpo o tutto spirito. Lo Stato, che rappresenta la collettività della Nazione, ne compendia il pensiero e le opere, lo spirito e la forza, non può essere solo potere brutale e disconoscere la parte più elevata e nobile degli uomini e le grandi aspirazioni dello spirito.

4. Anzi spetta allo Stato di rappresentare la parte intellettuale e spirituale in tutta la sua grandezza, purità ed elevazione.

5. Esso rappresenta la religione delle religioni, il Dio della Vita; l’Essere Infinito, l’Essere Uno.

6. Gli altri Culti sono manifestazioni parziali, religioni individuali. – Spetta allo Stato rappresentare la Religione nella sua essenza. Gli altri adoreranno i loro numi, i loro simboli, i loro profeti, i loro santi. Spetta allo Stato di elevare il tempio universale al Dio Universale ed Uno.

7. Nella capitale, e forse in Roma, si eleverà il tempio dei templi, il quale non deve raccogliere in sé, come il Pantheon antico, tutti i numi e i santi, ma simboleggi il Dio Universale nella sua essenza ed Unità.

8. Avrà i suoi riti, ma il culto sarà tutto pensiero, passione, aspirazione d’affetto pel buono, pel bello, pel vero.

9. Il tempio riassume in sé il tempo, o tutta la civiltà dell’epoca. Intorno ad esso, come a sacrario, si eleveranno i grandi istituti di lettere, di scienze ed arti.

10. Sinora solo le arti belle concorsero ad accrescere decoro al tempio e prestigio al culto; ora alle arti dovranno associarsi i nuovi fattori della civiltà; le scienze e l’industria.

11. Nelle religioni del passato, ignorandosi le grandi leggi della natura, i sacerdoti pascevano le menti di leggende, di fole, di falsi sacramenti.

12. Ora spetta al sacerdote – artista e scienziato di mostrare al popolo i Grandi Veri scientifici e il continuato miracolo della creazione. Il mistero diverrà evidenza, la fede scienza.

13. Gli uomini, che più glorificarono l’Umanità, colla morale e colle opere d’arti nella poesia o nella musica, con la scienza o con l’industria, e i grandi benefattori dell’Umanità saranno i nuovi santi.

14. La cupola del tempio sarà coronata da una specola immensa per osservare i movimenti e le meraviglie degli astri nel cielo.

15. A certe solennità consacrate dalla nazione, uomini, donne, fanciulli, saranno ammessi nella specola, e gli scienziati spiegheranno al popolo i miracoli del meccanismo celeste, delle leggi armoniche, che reggono il mondo sidereo. Se i cieli narrano la gloria di Dio, l’uomo, che ne è il pensiero vivente, lo riecheggia e lo glorifichi sulla terra. – L’uomo lo ripete all’uomo, le generazioni alle generazioni.

 

CAP. 26 - LA CHIESA

 

1. Il Tempio è la manifestazione materiale, che simboleggia e rappresenta il culto d’una città, d’un popolo; la Chiesa ne riassume il concetto ideale e progressivo.

2. Essa è tutto un organismo morale e intellettuale, che integra il pensiero religioso, per aiutarne lo svolgimento progressivo, la sua diffusione e l’applicazione, e compenetrarne la vita sociale.

3. Essa non deve restringersi in una casta, in una classe, una gerarchia, ma essere la comunione di tutti i fedeli. Al concetto universale, che integra in sé, deve rispondere la comunione universale.

4. Il popolo Ebreo costituiva in sé tutta la Chiesa secondo la legge antica. Ebbe a rappresentati i Legislatori, i Leviti o Maestri, i Profeti, usciti dal popolo. Venne continuata poscia da Gesù, dagli Apostoli, da alcuni Rabbini, Filosofi e Santi, che nei primi secoli del Cristianesimo lo ravvivarono colla parola, la cementarono col loro sangue, ne applicarono e ne diffusero l’idea nel resto del mondo antico.

5. Il triplice tradimento di Costantino, come falsò il Cristianesimo primitivo, così detruse e corruppe la Chiesa, e, accordatosi col Pontefice Pagano di Roma antica, la edificò sopra un triplice errore, la cementò con una triplice menzogna.

6. Essa si appellò Chiesa Cattolica, Apostolica, Romana. Ora non è, non fu mai, né Chiesa, né Cattolica, né Apostolica, né Romana.

7. Non è, non fu mai Chiesa, parola che significa assemblea, perché si restrinse in una casta, divenne una Gerarchia, si personificò in un uomo solo: Ubi Papa ibi eclesia.

8. Non è Cattolica, che significa Universale, ma rappresenta una parte minima del genere umano.

9. Non Apostolica, perché è provato, che né Pietro, né Paolo furono mai in Roma, ma fondarono la Chiesa in Gerusalemme.

10. Non Romana, perché Roma non appartiene al Papa o alla sua Chiesa, ma al popolo d’Italia.

11. Non è neppure Cristiana, perché il Papismo nello spirito come nella forma, non solo rappresentò mai, né rappresenta il concetto religioso di Cristo, ma nelle idee, nelle opere ne fu sempre la negazione; e dopo Costantino il papato non fu, non è che un innesto selvaggio e ibrido d’un fallace Cristianesimo sopra il tronco Pagano.

12. Invece che cosa è, che deve essere la vera Chiesa fondata dal Cristo-Nazzareno, dal Cristo- Umanità?

13. Esso non deve rappresentare una città, un popolo, una razza, ma, secondo il concetto del Cristo, riassume in sé l’Uomo-Umanità, l’Universale, è specchio dell’Universo.

14. Non rappresenta un culto, un simbolo, una setta; ma la essenza delle religioni, la religione delle religioni, tutti i Veri assoluti, impugnabili, proclamati da secoli da tutti i Giusti, i Savj del genere umano, e fecondati da secoli colla loro parola e col loro sangue.

15. Come la volta dei cieli abbraccia le zone, i climi più svariati, come il sole irraggia le diverse regioni della terra, non altrimenti la nuova Chiesa, salda ne’ supremi Veri, deve abbracciare e illuminare le diverse manifestazioni intellettuali, religiose e sociali.

16. Come v’ha una sola Geometria, una sola Matematica, una Meccanica, una Astronomia, così vi ha una Morale universa, sola religione nella sua essenza e nel suo sentimento intimo e universale.

17. Le religioni speciali, sia che si appellino da Confucio, da Budda, da Brama, da Gesù, da Maometto, da Ario o da Lutero, tutte confessano, l’Essere degli Esseri, Dio, e, sotto forma diversa, a lui sollevano preghiere e templi e altari. Nel fondo di ogni religione parziale si svela il Dio universale.

18. E il Dio Universale, l’Essere degli Esseri, Infinito ed Uno, è il principio, il fondamento della nuova Chiesa. Ciò che altrove è simbolo, apparenza, in lei sarà essenza, sostanza e realtà.

19. Al Dio Uno corrisponde l’Umanità-Una. E la fratellanza umana, che il Cristo aveva in sé assunta e personificata, diverrà il principio religioso sociale, sul quale la nuova Chiesa dovrà fondare dogmi e culti, simboli e riti.

20. Essa sarà vera Chiesa, cioè un’Assemblea delle intelligenze, un areopago universale e internazionale. Ma come ordinarla?

Come concretare il concetto e tradurlo nella pratica sociale?

 

CAP. 27 - LA NUOVA CHIESA.

 

1. La nuova Chiesa deve essere non solo espressione, che in sé compendia e rappresenta i fedeli, ma è come la sintesi, che in sé riassume le idee religiose, scientifiche, morali, economiche dell’Epoca.

2. Ora chi sono i rappresentanti della coltura di un’Epoca? I grandi Istituti Scientifici di Parigi, di Londra, di Roma, di Berlino, di New-York, di Filadelfia. Essi sono alla testa della civiltà operosa, meglio che Papi, re, principi e diplomatici e, fra i loro membri raccolti in Congresso, od in Areopago Internazionale saranno eletti i Capi della Chiesa futura. Ciascuno sarà eletto secondo le sue opere, e la sua capacità.

3. Quest’Assemblea, eletta dai diversi ordini di Scienziati, di Artisti, di Industriali sparsi nei due mondi, potrà divenire, come, per un breve periodo di tempo fu il Papato nel Medio Evo, la forza organica del mondo civile, il centro di vita morale e intellettuale dei popoli, e rifare quell’unità europea, che invano dai diplomatici si tenta, da tre secoli, di, ricostruire; essa deve reintegrare quell’unità-umana, che i Grandi Pensatori dei due mondi hanno vagheggiata, da Leibnitz, Kant, Herder, Vico, Condorcet, a Franklin, Chenniong, Saint-Simon e Mazzini.

4. La nuova chiesa intellettuale e morale, elevandosi al di sopra delle varie forme politiche, delle diversità dei culti, e propugnando i principii generali di Moralità e di Giustizia, potrà esercitare un influsso morale sui popoli e sui governi. Sarà la forza morale della civiltà, la sua espressione vivente.

5. Serbandosi indipendente dai vari governi nazionali, si occuperà specialmente degli interessi generali dei popoli. Essa dovrà esercitare un arbitrato morale e permanente, non solo fra popolo e popolo, città e città, per attutirne le ire, giudicare pacificamente le questioni e i dissidii, ma anche fra le diverse classi; e a quel modo che gli antichi Concilii si proponevano di definire le questioni dei dogmi, dei riti ed evitare le eresie e i scismi religiosi, essa emette il suo parere sulle questioni economiche, politiche, sociali.

6. Sollevandosi, come potere pacifico, tra popolo e popolo, interverrà per rimuovere le cause di guerra, scemare gli attriti fra le nazioni, accelerare il disarmo, preparando il riordinamento politico de'due mondi.

7. Potere internazionale non si occuperà soltanto delle quistioni politiche tra governo e governo, ma degli interessi economici e industriali, per comporre le questioni tra il capitale e il lavoro, quelle del salario e del credito, interponendosi siccome tutela agguarentigia del debole e dell’operaio, e sollevandosi, come arra di sicurezza e scudo di difesa del ricco e del possidente contro le violenze, i soprusi, le irrequietezze perturbatrici dei facinorosi.

8. Il mirabile organismo, che il Pontificato Romano seppe imporre alle sue vaste gerarchie, per cui da un centro dirige le mosse su tutta la superficie della terra, accordando colla verità delle funzioni, degli interessi e degli ordini, l’unità più compatta, potrà servire di modello ad ordinare la Chiesa e il Pontificato futuro.

9. E come il Pontificato Romano, ha Missionari, che dirige nelle varie regioni per convertire gli infedeli, insegnare, predicare, la nuova Chiesa intellettuale potrà ordinare missioni di scienziati, apostolati di artisti, colonie di operai, di industriali, per portare la parola della scienza, della moralità, della fratellanza fra le regioni lontane, e porgere esempio d’ordine, di moralità e di lavoro.

10. Il centro di questi movimenti potrà continuare ad essere Roma, la città delle tradizioni mondiali, e, secondo le circostanze, potrà mutare regione, insediandosi nelle altre Metropoli d’Europa e d’America.

11. Era provvidenziale, che la falsa Chiesa durasse per poter su di esse ordinare in Roma la novella e vera, come fu Provvidenza trionfasse il falso Cristianesimo per poter sul tronco selvaggio innestare un giorno il buon frutto.

12. Nello stesso modo che fu il Pontificato Pagano si edificò il Papato, così su questo si potrà elevare la Chiesa futura e pacifica dei popoli.

13. Dalla città ove siederà il nuovo Pontificato intellettuale, si potranno ordinare le missioni di scienziati, di artisti, o uomini di altro sentire, di operai per diffondere i grandi Veri scientifici e morali nelle varie parti del mondo, per civilizzare, aumentare la produzione, dirigere i vasti lavori di coltura, di irrigazione, di ferrovie secondo le forti parole del Profeta: “ Verranno acconciati i cammini, rilevate le strade, adeguati i monti, per lasciare passare il progresso sociale ”.

14. Il quale si riassume nei tre principii proclamati dal Cristianesimo antico, e che noi siamo chiamati ad applicare: La liberazione degli oppressi, la elevazione degli umili, la fratellanza, degli uomini, o il miglioramento morale, intellettuale e materiale della classe più numerosa e più povera.

15. Questa l’Alfa, l’Omega, della dottrina antica, che io sono mandato a ricordare e applicare. Queste le due mistiche colonne Joachim e Boas, Verità e Giustizia, levate al limitare del tempio, questa la pietra angolare, sulla quale deve edificarsi la Gerusalemme Celeste-terrena, per richiamare il cielo in terra e rialzare l’uomo agli spazi elevati, pieni dello splendore del Dio infinito e Uno.

 

CAP. 28 - NOVISSIMA VERBA

 

1. Or tu, che ti levasti a me, e fosti interprete della mia parola, che invano si tentò, nella mia terra natia, di soffocare e spegnere, sorgi, e diffondila tra i popoli.

2. Molti chiederanno, chi la destava? Chi ti manda? Chi è Costui? Come venne a te? Ma costoro mirano all’uomo, all’individuo, non all’affetto per la Umanità, che lo muove l’ispira, e infiamma, mirano ad una vita caduca, ad eventi fortuiti e passeggeri non all’idea che, da secoli si matura e si va svolgendo, mirano al nome non alla sostanza. E tu dirai loro, non mirare all’uomo, ma allo spirito, non al fatto, all’involucro, ma al concetto generale, alle idee. – In esse riconoscetemi, in esse giudicate, e giudicatemi.

3. Ora io vi dico, che io per me sono nulla: Ma sono tutto per l’idea che porto in me; ora io vi dico, che per me, per le opere, che ho iniziato o compiute sulla terra sono un’ombra che passa, ma sento essere una energia per lo spirito, che da secoli porto con me, una potenza pel Dio, che mi guida, e nel cui nome io favello e lotto pel bene del genere umano.

4. E queste parole tu le diffonda da Roma a Parigi, da Parigi a Londra, a Filadelfia, San Francisco. Valicheranno l’Atlantico, e desteranno alla vita nuova le isole del Pacifico per riecheggiare su Calcutta nello Indostan, e sopra l’antico Oriente, donde già erano sgorgate nei tempi antichissimi per diffondere, al pari del Sole, i raggi sul mondo d’Occidente.

5. La mia vita come individuo sul nostro pianeta ora volge al tramonto. Pugnai le dure battaglie, soffrii, caddi, risorsi per ricadere, giacqui per risorgere. Ora, col secolo decimonono, la lotta si chiude, il mio pensiero diviene retaggio di tutti, ed io ù, pel mio apostolato perenne, sono spinto ad altri pianeti, chiamato a consolare altri afflitti, a redimere altri oppressi su d’astro in astro negli spazii interminabili.

6.Qui la face è accesa tra voi, né violenza di turbine potrà più estinguerla. La spinta è data, né v’ha forza che possa arrestarla. Il moto partito da una modesta capanna di pastori in Betlemme, di età in età, di clima in clima, si propagò nel mondo intero; invano fu deviato nel cammino, impedito, arrestato, si continuò d’età in età indeprecato, irresistibile, passò dal presepio al palazzo, da questo alle reggie, dalle reggie alle officine, il suo spirito adempio i due mondi, il suo fuoco riscalda, avviva il cuore di tutti i popoli.

7. Al Golgota risposero i Sette Colli, a questi le Alpi, i Pirenei, ai monti della Scozia, le Ande dell’America, al Tibet, i monti dell’Imalaia:

8. Ora la spinta partì di nuovo da un piccolo angolo, modesto, ignorato; ma i suoi monti sono elevati e interposti tra Roma, centro del mondo antico e moderno, del mondo cesareo e sacerdotale, e la Toscana, già officina dell’operaio, sede del libero Comune, asilo dell’antica Sapienza rinata, vessillo alla fede della Scienza futura.

9. Il movimento dell’operaio, delle officine, delle Università, impedito, soppresso in Toscana, si diffuse nella rimanente Europa che rinacque per lei alla luce; ora agita e scuote i due mondi, e la sua azione sarà il Gulf-Stream, trascinerà dietro di sé le vaste correnti dell’Oceano dei popoli.

10. Dodici poveri operai dalla Giudea hanno scrollato il mondo antico, e sulla loro parola si edificò la Società moderna, un povero mulattiere della Mecca trasformò l’Oriente e conquistò gran parte dell’Occidente.

11. Ora voi unitivi in pochi per raccogliere la buona semenza, e deporre i semi nel terreno ferace; non sarete per ora che in tre, in sei, in nove; ma prima che l’età tramonti voi vi chiamerete legione.

12. Gesù disse: - Amatevi l’un l’altro. – Io completo il pensiero del maestro e vi dico: - Associatevi – Tutti gli operai della Scienza, delle Arti, delle Industrie formino una famiglia, una falange, Siamo anello avvinto ad anello, nodo a nodo, e intreccino la Catena Internazionale del Pensiero, della Moralità e del Lavoro, che correndo di città in città, di provincia in provincia, di nazione in nazione, raccolga e ravvolga né suoi giri il mondo intero.

13. Però che a voi spetta iniziare l’era nuova del lavoro, della fratellanza, del dominio del Pensiero della Ragione e della Giustizia Sociale.

14. Voi vedeste nel corso di pochi anni le fila dell’elettrico unire città a città, popolo a popolo, valicare gli abissi del mare, trasformare i monti di granito e, portando in un baleno le correnti del pensiero umano, tessere in una immensa catena che ravvolge e abbraccia i due mondi.

15. Ora tempo è sorto, in cui all’elettricità fisica venga ad accoppiarsi quella intellettuale e morale, ordita dalla catena dei Pensatori, degli Artisti e degli Industriali, entro cui viva e baleni e scorra il pensiero, l’amore e l’azione rigeneratrice.

16. Il secolo decimonono assoggettò alla volontà dell’uomo le forze fisiche, le raccolse, le unificò, secondo i suoi bisogni, i suoi interessi materiali; al secolo che succede spetta risuscitare le forze morali e passionate, che esso sconobbe, demoli, sparpagliò si spense; a lui coordinarle; e indirizzarle al trionfo della Varietà e della Giustizia.

17. L’Italia sorse ora a vita per la terza volta: Ogni periodo della sua civiltà fu germe e nucleo a civiltà universale, ed ora da lei si diparta la parola, che unisca in una famiglia i diseredati, gli oppressi, i lazzari di tutto il mondo, e sia principio di salute e di riconciliazione per ogni classe sociale.

18. Io ero venuto per recare la pace e la vita, e in nome della libertà per cui ho pugnato, venni retribuito colla guerra e la morte. Cristo sulla Croce perdonava i suoi giudici, e carnefici, io grido: Grazie a voi, che mi avete immolato e ucciso sulla terra, perocchè da queste sfere spirituali, mi fu dato diffondere la mia parola più libera, più intera e sicura e luminosa sul mondo degli uomini.

19. Come Dio è uno e la Vita è Una, pochi e semplici sono i Veri in cui si riassumono le civiltà dei secoli.

20. L’Oriente, dopo un periodo di lotte, di agitazioni, di ricerche e contemplazioni, che durò oltre a cinquemila anni, si compendiò in una sola parola. Parola che è luce morale dei secoli, e questa è: Dio.

21. Sottentrò l’Occidente nel campo dell’azione che raccolse l’afflato divino: e, dopo un periodo di conati, di guerre, di travagli e di meditazioni, durato per più civiltà, che perirono e disparvero, proruppe in una parola, ed è Umanità.

22. Scese nell’agone dei popoli un nuovo mondo, l’America; giovane, balda, ricca di forze, di libertà e di speranze. Gridò animosa: God-Head – Avanti, Lavoro e Progresso.

23. In queste quattro parole si riassume la vita del genere umano. In esse sarà unificato, in esse salvato.

24. Col concetto di Dio Uno, l’Oriente si concilia coll’Occidente, la Croce si confonde con la Mezza Luna, creando il nuovo simbolo, che riassume Lavoro-Umanità; Vita, e Progresso, unificati nell’Ente, Sommo Architetto dell’Universo, Padre ed anima di chi lavora, di chi ama, e di chi pensa. Lode a Dio negli Eccelsi.

 

 

 

INDICE

 

Avvertenza……………………………………………………………………………pag. 5

Dedica……………………………………………………………………………….. 6

 

PARTE PRIMA – IL PASSATO. IL FALSO E IL VERO CRISTIANESIMO

 

Capo 1 – La morte fu lavita………………………………………………………… 7

“ 2 – Lo spirito dell’uomo …………………………………………………….. 8

“ 3 – L’esistenza terrena……………………………………………………….. 9

“ 4 – Le origini storiche……………………………………………………….. 9

“ 5 – L’Egitto e la Palestina…………………………………………………… 10

“ 6 – Davide …………………………………………………………………… 11

“ 7 – L’Oriente ………………………………………………………………… 11

“ 8 – L’Occidente………………………………………………………………. 12

“ 9 – Gesù e Lazzaro…………………………………………………………… 13

“ 10 – La prima croce…………………………………………………………… 14

“ 11 – La morte di Gesù e la riscossa di un popolo……………………………... 15

“ 12 – Il moria o la seconda croce………………………………………………. 16

“ 13 – Lazzaro non può morire………………………………………………….. 17

“ 14 – Lazzaro in Roma…………………………………………………………. 17

“ 15 – Il Colosseo e le Catacombe………………………………………………. 18

“ 16 – La Storia………………………………………………………………….. 19

“ 17 – Costantino o il primo tradimento………………………………………… 20

“ 18 – Falsificazione degli Evangeli……………………………………………. 20

“ 19 – Il secondo tradimento di Costantino…………………………………….. 22

“ 20 – Il terzo tradimenti di Costantino………………………………………… 24

“ 21 – Conseguenze del triplice tradimento……………………………………. 25

“ 22 – L’età dell’odio…………………………………………………………… 26

“ 23 – Le rivendicazioni………………………………………………………… 27

“ 24 – Ancora le rivendicazioni………………………………………………… 28

 

PARTE SECONDA – IL PRESENTE

 

Capo 1 – Fatalità e provvidenza…………………………………………………… 30

“ 2 – La nuova Pasqua o il passaggio dal medio evo al secolo nuovo………… 31

“ 3 – La nuova Italia…………………………………………………………… 31

“ 4 – Pio IX°…………………………………………………………………… 32

“ 5 – Camillo…………………………………………………………………… 32

“ 6 – Emanuello………………………………………………………………… 33

“ 7 – Il feretro di un Re………………………………………………………… 33

“ 8 – Solitudine………………………………………………………………… 34

“ 9 – Visione e missione………………………………………………………. 35

“ 10 – Il pellegrinaggio di Lazzaro……………………………………………… 37

“ 11 – Il ritorno di Lazzaro in Italia…………………………………………….. 38

“ 12 – Che cos’è l’Europa? Apparenza…………………………………………. 39

“ 13 – Che cos’è l’Europa? Realtà……………………………………………… 40

“ 14 – Solitudine – Problema…………………………………………………… 42

 

PARTE TERZA – L’ORDINE NUOVO

 

Capo 1 – Il problema morale……………………………………………………….pag. 44

“ 2 – La legge armonica……………………………………………………….. 44

“ 3 – Il male…………………………………………………………………… 45

“ 4 – Satana……………………………………………………………………. 47

“ 5 – Le passioni……………………………………………………………….. 48

“ 6 – L’individuo………………………………………………………………. 49

“ 7 – La vita sociale……………………………………………………………. 50

“ 8 – La socialità……………………………………………………………….. 51

“ 9 – La famiglia……………………………………………………………….. 51

“ 10 – Città e nazione……………………………………………………………. 52

“ 11 – La scuola…………………………………………………………………. 54

“ 12 - L’officina………………………………………………………………… 54

“ 13 – Le associazioni……………………………………………………………. 55

“ 14 – La proprietà……………………………………………………………….. 58

“ 15 – Il capitale …………………………………………………………………. 59

“ 16 – Il governo – Qual fu sinora, qual è in Europa?……………………………. 60

“ 17 – Il governo. Qual deve essere………………………………………………. 62

“ 18 – Lo Stato……………………………………………………………………. 63

“ 19 – Gravitazione cosmica – Gravitazione morale……………………………… 65

“ 20 – La religione………………………………………………………………… 65

“ 21 – Il nuovo culto……………………………………………………………… 66

“ 22 – Il nuovo sacerdozio………………………………………………………… 67

“ 23 – I periodi della vita………………………………………………………….. 68

“ 24 – Il culto dell’individuo………………………………………………………. 69

“ 25 – Il tempio……………………………………………………………………. 69

“ 26 – La Chiesa…………………………………………………………………… 70

“ 27 – La nuova Chiesa……………………………………………………………. 71

“ 28 – Novissima Verba……………………………………………………………. 73

 

INDICE…………………………………………………………………………………75/76